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Mossi di nome, fermi di fatto

15 Luglio 2010 Roger Sesto
In virtù di un antico documento ritrovato negli archivi di Stato, dove si descrivono i terreni appartenuti a Francesco Mossi (classe 1516) come luoghi coltivati a vigneto, la Cantina di Luigi Mossi può a buon diritto ritenersi la più antica del Piacentino e dichiarare il 1558 come anno di fondazione. Vanto dell’azienda è di aver rilanciato l’Ortrugo e la Bonarda, vitigni anni fa a rischio di estinzione. Quando lo abbiamo interpellato sul tema della longevità dei suoi vini, Mossi non ha esitato a raccontarci dei suoi Gutturnio, il cui disciplinare prevede un blend di Bonarda (30-45%) e Barbera (70-55%). Nella tipologia Riserva, Mossi massimizza l’impiego della Barbera, in quanto vitigno ritenuto più prono all’invecchiamento. Tra le diverse annate conservate in azienda, quelle del Gutturnio Riserva ritenute più rappresentative della longevità di questo vino sono la 2000 e la 2005, oltre alla 2003 di cui però sono ormai rimaste poche bottiglie. «Ottenuta con uve del cru Riva del Sole, elevata in botti di rovere di Slavonia e barrique, maturata a lungo in bottiglia, la nostra Riserva», spiega Mossi, «è una delle migliori selezioni possibili e certo la più capace di evolvere nel tempo. Il vigneto da cui deriva è posto nella tenuta di Ziano: il terreno argilloso-calcareo produce di regola uve rosse di altro pregio, che danno un vino di buona stoffa e vocato all’invecchiamento». Seguita il vignaiolo: «A settembre imbottiglieremo il 2007. Ma anche il Classico, in commercio ora con l’edizione 2008, pur se più pronto e beverino, ha interessanti capacità evolutive. Infine, sempre a settembre imbottiglieremo la versione intermedia, il Classico Superiore 2008». Ma chi avrebbe scommesso anni fa sul Gutturnio come vino di lungo corso? «In realtà non c’è nulla da stupirsi, soprattutto nelle annate in cui la Bonarda mostra un buon tenore di acidità; in questi millesimi è un vino che comincia a dare il meglio dopo 3-4 anni dalla vendemmia, ma che migliora dopo 7-8 anni e più!»

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