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L’Italia del Manzoni… bianco

1 Luglio 2010 Monica Sommacampagna
A Nord, in Trentino, profuma di pompelmo, a Sud, in Puglia, di ananas e miele, in Toscana può rivelare note di rosa: di fatto, i vini frutto del primo anno di sperimentazioni sul Manzoni bianco in diverse zone d’Italia, finanziato in parte dalla Regione Veneto, in parte da 27 aziende e concretizzato dal Centro di ricerca per la Viticoltura di Conegliano, ci offrono l’immagine di un vitigno dal carattere variegato e interessante, complici particolari condizioni pedoclimatiche, sesti d’impianto che privilegiano Guyot, sylvoz e cordone speronato e sistemi di vinificazione ad hoc come criomacerazioni o vinificazioni in iperriduzione. La ricerca, presentata ieri sera presso la Scuola enologica di Conegliano (Treviso) da un team scientifico che, oltre al CRA-VIT, comprende l’Università di Padova, si concluderà nel 2011 e ha evidenziato gli esiti di otto microvinificazioni realizzate nella vendemmia 2009 con il contributo di Veneto Agricoltura, utilizzando uve di 27 aziende di Veneto (area trevigiana), Lombardia (Oltrepò Pavese), Trentino (Lavis), Toscana (area fiorentina) e Puglia (area leccese). Evidenti le differenze, a partire dalla raccolta dei grappoli che, se in Puglia si è svolta il 12 agosto, ha visto Lavis chiudere la stagione vendemmiale il 22 settembre. Elevata la capacità di accumulare zuccheri di una varietà che può arrivare a una resa per ettaro di 140-150 quintali con sesto particolarmente stretto in Toscana e con una produzione per ceppo di soli 2,4 kg. «Il sesto di impianto utilizzato contribuisce in maniera significativa a determinare incrementi produttivi di questa varietà», ha spiegato il ricercatore del CRA-VIT Diego Tomasi. «Va poi segnalato che l’Incrocio Manzoni 6.0.13 si adatta bene sia a un clima talora piovoso come quello trentino sia siccitoso come in Puglia e Toscana». Numerosi gli interventi: dall’enologo Marzio Pol, che ha sottolineato i positivi esiti a livello sensoriale dei vini ottenuti da criomacerazione a Gianni Teo, dell’Università di Padova, che si è soffermato sulle prove effettuate con appassimento in fruttai e in tunnel a temperatura e umidità controllata, a Simone Vincenzi, dell’Università di Padova. «A livello sensoriale molto interessanti i vini ottenuti in Trentino, che presentano un’area espressiva molto più ampia rispetto agli altri analizzati», ha commentato Deborah Franceschi, dello stesso ente. Ha completato il quadro l’analisi economica realizzata quest’anno dal team del professor Vasco Boatto, della facoltà di Agraria di Padova, che ha preso in considerazione gli esiti delle interviste a 44 aziende vitivinicole nelle zone del Piave Doc, dell’Asolo Docg e di Conegliano Valdobbiadene e presentata da Federica Bianchin: «Limitata la produzione annua comunicata, in base a stime del 2008 nella Doc Colli Conegliano erano solo 4 aziende pari a una media di 106 ettolitri annui, l’Igt prevedeva 40 aziende pari a 282 ettolitri». Ma sono in molti a credere nelle potenzialità di questo vitigno, pur in un mercato che oggi tende a privilegiare vini a bassa gradazione o ben più noti, tant’è che Vasco Boatto, insieme con l’assessore all’Agricoltura della Provincia di Treviso Marco Prosdocimo, hanno appoggiato l’idea di organizzare, a conclusione della ricerca biennale e compatibilmente con le risorse disponibili, iniziative promozionali per metterne in luce i pregi, partendo da un nome identificativo che sia comune ai vini ottenuti da Manzoni bianco in purezza.

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