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Grai: l’enologo altoatesino sfida se stesso

27 Giugno 2011 Roger Sesto
Era un Giorgio Grai in gran forma, quello che abbiamo abbracciato lo scorso 11 giugno, in occasione del suo 81° genetliaco, nell'immaginifico, incantevole contesto di Villa Dragoni in quel di Buttrio, ospiti suoi e della sua inseparabile compagna, Marina Danieli. Anni che non sembrano certo scalfire né la sua forma fisica né soprattutto la sua verve, la sua vis polemica, il suo mix di amabilità e franca irruenza, il suo pastis di atavica saggezza e moderno pragmatismo. Personaggio non facile, è risaputo, ma dotato di grande carisma, magnetica personalità, terragna umanità, grandissima esperienza. Tra i migliori nasi al mondo, probabilmente. Intramontabile artigiano del vino. E, come è sua indole, nemmeno in questa occasione ha voluto risparmiarsi, organizzando un festa in grande stile, preceduta però da un momento di intenso interesse tecnico, ma soprattutto emozionale; una vera degustazione professionale di alcune sue creazioni d'antan, ormai pezzi unici e introvabili. Scovate chissà come - chissà dove; in parte nella sua cantina storica, altre bottiglie in archivi di polverose enoteche o presso qualche collezionista. Un tuffo a ritroso nel tempo, per saggiare etichette non certo scontate. Il tutto arricchito da gustosi aneddoti, sapientemente centellinati dal nostro anfitrione con un pizzico di genuino istrionismo, con il supporto di personaggi quali Cesare Pillon, che hanno aiutato i ricordi a dispiegarsi e a materializzarsi al centro della sala; noi lì ad ascoltare e a rivivere idealmente le situazioni, a rivedere con l'immaginazione un Andrè Tchelitcheff, tra i più grandi enologi di tutti i tempi, inginocchiarsi commosso davanti a Pinot Bianco di Grai. Ma alla fine, come sempre, la parola è passata ai calici, che meglio di ogni altra prolusione, ci hanno parlato, raccontato, toccato le papille e solcato i cuori. Come quello spumante 1990, degorgiato nel lontano 1995. O quel Lagrein Rosato del 1976. E che dire al cospetto di un vino da uva Schiava, del 1955? O dinnanzi a un quasi dimenticato Corbulino del 1985? Grandioso e vitali poi il Marzemino d'Isera targato 1967. Materico il Verdicchio Riserva Villa Bucci 1992. “Mostruoso” il Gewürztraminer del 1961, un autentico inno a Bacco.  

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