Con il progetto Nostra Madre Terra gli Istituti diocesani di Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Campania si alleano per la distribuzione, e non solo, dei loro prodotti, vini inclusi. Dal Prosecco al Chianti, una vera forza economica che gestisce 8 aziende e 4.400 ettari di terreni coltivati.
Non sarà mai una multinazionale, ovviamente, ma una “multiregionale”, invece, lo è già. E non solo per la distribuzione geografica su tutta la Penisola dei beni che possiede, ma pure per le imponenti dimensioni patrimoniali dei medesimi, visto che si parla di migliaia di ettari di terreni agricoli di proprietà: la sola curia fiorentina ne possiede qualcosa come 4.400. Parliamo della Rete agricola degli istituti diocesani, il soggetto che dal 2022 riunisce in una rete di imprese le otto aziende agricole facenti capo ad altrettanti Istituti diocesani per il sostentamento del clero – Idsc (Avellino, Benevento e Montevergine, Bologna, Montepulciano e Chiusi, Arezzo, Firenze, Forlì, Padova, Vercelli e Vittorio Veneto).

La mission è contrastare la speculazione
Lo scopo è quello di fare sistema ed entrare direttamente nel settore della trasformazione, della commercializzazione e della promozione delle produzioni, vini pregiati compresi. Sempre, tuttavia, affiancando alla stretta logica imprenditoriale – qui l’aspetto innovativo e sotto un certo profilo rivoluzionario dell’operazione – un’esplicita componente etica finalizzata alla conservazione identitaria; per «portare avanti ciò che abbiamo ricevuto come dono», come dice don Giuliano Landini, presidente dell’Idsc di Firenze, e per contrastare la deriva speculativa che spesso condiziona il settore vitivinicolo e agroalimentare.
L’esperienza nel Chianti Classico
Le prospettive di questa strategia di “uscita dal guscio” sembrano incoraggianti. E anche un segno dei tempi. Lo conferma una recente indagine svolta dal centro di ricerca Arco (spin off del dipartimento di Scienze per l’economia e per l’impresa e del dipartimento di Statistica dell’Università di Firenze) per conto dell’Idsc fiorentino sull’impatto sociale, economico e culturale nel tempo degli investimenti effettuati e da effettuare sulla Pieve di Campoli. L’azienda agricola diocesana, certificata VIVA, è situata nel cuore del Chianti Classico ed estesa su centinaia di ettari (di cui circa 52 di vigneto, gestiti da un enologo di spessore come Andrea Paoletti), e rappresenta una delle punte di diamante del progetto aggregativo. “Il focus sulla valorizzazione del patrimonio, e in particolare di quello agricolo – si legge nel report – alla luce delle rilevanti prospettive di sviluppo, rappresenta il miglior modo di garantire la redditività nel lunghissimo periodo. Gli investimenti nel settore agricolo, capaci di far crescere il capitale intangibile dell’azienda e dell’istituto, vanno senz’altro in questa direzione”.

Cosa fanno gli Istituti diocesani per il sostentamento del clero – Idsc
Per capire meglio la portata di tutto questo e dell’originale approccio al mercato che esso comporta, occorre specificare che gli Istituti diocesani per il sostentamento del clero – Idsc sono gli enti creati nel 1985 in ognuna delle 217 diocesi italiane con lo scopo di garantire alla Chiesa il gettito necessario al mantenimento dei propri sacerdoti. Enti importanti quindi sotto il profilo socioeconomico, ma per cultura avvezzi al basso profilo: la loro parola d’ordine è understatement. «Nei quarant’anni passati dal 1985 ad oggi gli istituti hanno fatto molto», spiega don Landini, «passando dalla semplice produzione delle materie prime alla loro trasformazione e poi alla commercializzazione dei prodotti. Ora però dobbiamo andare avanti, in coerenza con i nostri principi di cura “teologica” dei beni che ci sono stati affidati».
Condividere idee e progetti senza gerarchie
Nasce da tali premesse l’intuizione di mettere insieme alcune delle realtà più dinamiche di questa sorta di arcipelago rurale ecclesiastico nell’ambito di una “comunione ecclesiale e pastorale”. «È un’espressione teologica che implica di condividere idee e progetti senza gerarchie, ma, in un contesto di ascolto delle reciproche istanze», spiega Enrico Viviano, direttore generale dell’Idsc di Firenze. «A un certo punto della nostra storia ci siamo accorti che in Italia erano tanti gli istituti che svolgevano attività agricole, spesso però spezzettate e marginali, mentre qualcuno era più strutturato, già in grado di trasformare e vendere le proprie produzioni».
Il Prosecco Gueratella
«Su questa base», continua Viviano, «e sempre facendo leva sul principio della parità e dell’autonomia che connota il sistema degli istituti, nel 2018 gli Idsc di Firenze e di Vittorio Veneto costituirono la società agricola Gueratella. I veneti conferirono 10 ettari di vigneto di Glera a Motta di Livenza destinati alla produzione di Prosecco, i fiorentini misero i propri diritti di reimpianto su 10 ettari di Chianti. Ne nacque un vigneto nuovo e moderno. Operazione logica sotto il profilo economico e senza dubbio anche conveniente, che fu la prima nel suo genere mai autorizzata da Roma». Il passo iniziale verso la costituzione di un’aggregazione tra gli istituti diocesani agricoli era dunque stato compiuto.
Nasce progetto Nostra Madre Terra
Il secondo e decisivo passo avviene nel 2022, quando si apre il V° Bando di filiera del Pnrr per il finanziamento di progetti di comunicazione e ricerca del mondo agricolo. Poiché il bando privilegia i progetti presentati da reti di impresa, si decide di partecipare costituendo formalmente la Rete agricola degli istituti diocesani, con l’adesione degli Idsc di Avellino, Benevento e Montevergine, Bologna, Montepulciano e Chiusi, Arezzo, Firenze, Forlì, Padova, Vercelli e Vittorio Veneto. Della Rete, titolare del progetto denominato Nostra Madre Terra e dotato di un proprio marchio, entrano a far parte come beneficiari indiretti anche altri soggetti, quali il Consorzio del Prosecco Conegliano Valdobbiadene e il Consorzio dei maiscoltori e cerealicoltori del Piave. Nell’estate del 2025 il Ministero Mipaaf rifinanzia il bando con uno stanziamento di 2 milioni di euro, per accedere ai quali entro il 31 gennaio del 2026 la Rete dovrà presentare il progetto completo.
Modello di resilienza economica
«In pratica abbiamo sottoscritto un accordo di filiera che prevede la valorizzazione delle proprietà fondiarie ecclesiastiche sia tra gli enti aderenti, sia verso soggetti esterni, con indirizzi di tutela rigorosi che, ad esempio, escludono sia la locazione che la cessione dei beni a terzi. Beni», commenta il presidente della Rete Fabio Sforza «spesso di pregio, come i vigneti, verso i quali più volte avevano nel frattempo mostrato interesse anche alcuni imprenditori italiani del settore del vino. Ci siamo dati inoltre un disciplinare etico stringente in termini di rispetto dei principi di qualità del prodotto, regolarità nei rapporti contrattuali, conservazione e tutela dell’ambiente. In sostanza, proponiamo un modello di resilienza economica che riafferma da un lato la nostra volontà di una permanenza attiva sul territorio, ma dall’altro ribadisce l’intenzione di plasmare l’attività d’impresa sullo scopo sociale e pastorale per il quale i nostri istituti sono nati».
In futuro un hub di vendita e distribuzione
L’obiettivo nel medio periodo è di dare vita a una sorta di hub di vendita e di distribuzione dei prodotti della rete (vino, olio, riso, pasta, frutta secca, miele, farina, zafferano, ecc.) da aprire, in seguito, tanto ad altri istituti diocesani quanto anche alle aziende loro collegate, ad esempio quelle affittuarie di proprietà ecclesiastiche. L’idea di fondo, ancora più ambiziosa, è di rafforzare presso il consumatore, facendo leva su identità e fidelizzazione, la percezione del forte legame, non solo geografico e produttivo, ma anche spirituale, del prodotto stesso alla chiesa di pertinenza e alla sua cattedrale. «Un progetto dove ciò che più conta», chiosa Enrico Viviano, «non è il prodotto in sé, ma il motivo per il quale esso viene fatto».
Le eccellenze enologiche
Ad oggi le eccellenze della Rete sono il Monastero maremmano di Siloe con le sue produzioni di pasta e legumi, l’Idsc di Vittorio Veneto, coi suoi 91 ettari di vigneto destinati, tra gli altri, alla produzione di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg (Maso di Ronchè di Cenetae), e soprattutto la Pieve di Campoli a San Donato in Poggio (Firenze), un vero e proprio “polo agricolo” con 66 mila bottiglie prodotte all’anno e un potenziale di 200 mila, 16 mila piante di olivo sparse su sette comuni, svariati punti-vendita (uno dei quali in piazza del Duomo a Firenze) e un frantoio di ultima generazione ove si trova anche la nuova sede per le funzioni direzionali e amministrative, gli spazi per il personale, le aree di imballaggio e trasformazione e i magazzini climatizzati per la conservazione dei vini più pregiati.
Il movimento si propaga
Nel silenzio delle sagrestie, intanto, anche altre realtà diocesane cominciano a muoversi nella medesima direzione: per restare nell’ambito degli aderenti alla rete, la diocesi di Montepulciano e Chiusi, quella di Arezzo e di Padova, che già dispongono di superfici vitate, mentre la diocesi di Orvieto si è candidata a entrare nel sodalizio.