Food Food Giovanni Caldara

La tradizione secolare del formaggio di fossa

La tradizione secolare del formaggio di fossa

Tipico dell’Appennino romagnolo-marchigiano, il formaggio di fossa, come il nome suggerisce, affina all’interno di fosse scavate nelle rocce di tufo, che permettono lo sviluppo di aromi e profumi decisi. La storia e le creazioni degli chef Gorini e Gavagna.

Tra i cantori più appassionati della terra di Romagna, Tonino Guerra era solito legare i sapori intensi dei formaggi di fossa a quella sua infanzia, che definiva il “nostro paradiso terrestre”. E sottobosco e muschio altro non sono che gli aromi che si sprigionano da quel formaggio dell’Appennino romagnolo-marchigiano affinato nelle fosse di tufo.

Le patrie del formaggio di fossa

Il poeta lo descriveva in questi termini: “Va giù che è bianco e torna fuori quasi dorato, come l’ambra, che quando riemerge dalle viscere profonde ha un colore giallo luminoso, come se avesse una sua luce interna”. Proprio da queste parole nasceva l’Ambra di Talamello, formaggio di fossa dalla storia, però, secolare. E non a caso Talamello, in provincia di Rimini, è ritenuta la seconda patria – essendo la prima Sogliano al Rubicone (Forlì Cesena) – del formaggio di fossa.

Un’antica tradizione contadina

Una tradizione, quella di Sogliano, che risale al Medioevo, ai tempi della famiglia Malatesta, signori di un territorio che comprendeva la Romagna e il Montefeltro marchigiano. Un territorio che ci racconta di fosse scavate nel tufo che servivano ai contadini da deposito delle derrate e da nascondiglio dalle razzie di guerra. Ma anche come ambiente di conservazione. Grande di certo fu lo stupore il giorno in cui si scoprì che quel formaggio, rimasto sepolto per tre mesi, “veniva fuori diverso”, con un odore e un sapore più forti e decisi.

Le fasi della produzione

Il disciplinare del formaggio di Fossa di Sogliano, la cui Dop risale al 2009, coinvolge un grande territorio che comprende province romagnole, marchigiane e una manciata di comuni del Bolognese. La volontà di tutelare l’intera filiera locale dispone che non solo l’infossatura, ma anche la caseificazione e la stagionatura avvengano in questo territorio. Il formaggio – di latte ovino, vaccino o misto – ha già subito una pre-stagionatura quando viene posto in sacchetti di tela nelle fosse, opportunamente preparate e rivestite con uno strato di paglia sostenuto da uno steccato di canne. Chiusi nella fossa, i formaggi vengono accatastati gli uni sugli altri, così da lasciare meno spazio all’aria. Vi resteranno da 80 a 100 giorni in ambiente anaerobico, fermentando e affinando. La sfossatura avviene tradizionalmente a fine novembre, durante la festa di Santa Caterina.

Caratteristiche e consigli di utilizzo

Insieme al sottobosco, gli aromi di questi formaggi rimandano a sentori erbacei, di muffa, fungo e tartufo. Nei pecorini s’affaccia una leggera piccantezza; nei vaccini una nota amara. Li ritroviamo nei cappelletti in brodo alla romagnola o nel tradizionale erbazzone al formaggio di fossa di Sogliano. Ma anche quando sono gustati da soli, in abbinamento al miele, ai fichi caramellati o al “savor”.

La creazione del ristorante Da Gorini

Gianluca Gorini, chef del ristorante stellato daGorini a Bagno di Romagna (Forlì Cesena) li fa incontrare, nei suoi spaghettoni, con la dolcezza del burro, la sapidità dell’acciuga e l’acidità dell’uva fragola sott’aceto. Un accompagnamento ottimale è quello con un’orgogliosa scommessa (vinta) del territorio: Il Solo, Rubicone Rosso Igt 2018 di Umberto Cesari da uva Merlese.

E quella della Trattoria del Cacciatore alla Subida

In Friuli, il patron della Subida di Cormòns (Gorizia) Josko Sirk ha avuto l’idea di elevare il Montasio primaverile portandolo ad affinare in fossa. Lo ritroveremo nel “Frico al contrario”, piatto in equilibrio tra tradizione e creatività con la cipolla rossa di Cavasso, il Montasio e il Subida di Fossa. Lo prepara lo chef Alessandro Gavagna alla guida del ristorante stellato di casa, la Trattoria al Cacciatore. Un piatto che si sposa, ad esempio, con il Tiare Blù, Venezia Giulia Rosso Igt 2017 di Livon, avvolgente con i suoi profumi di lampone e di mora.

Foto di apertura: © A. Fleury-Gobert – Wikimedia Commons

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© Riproduzione riservata - 13/02/2022

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