A distanza di un paio di mesi dall’evento, le considerazioni a margine dell’ultima edizione di Sicilia en Primeur del nostro collaboratore Luciano Ferraro. Che ne ha apprezzato l’organizzazione, sottolineando come sia stata una manifestazione foriera di spunti da approfondire per capire la produzione isolana di oggi e di domani
Sicilia en primeur edizione 2025, tra il barocco e il cioccolato di Modica, è stata la prova di come una manifestazione regionale possa avere risonanza mondiale. Degustazioni e approfondimenti ben calibrati hanno attirato più di 100 tra giornalisti e comunicatori. Quando si organizzano eventi di questo tipo, l’effetto vetrina è importante: mettere in mostra i prodotti migliori e farli conoscere e testare.
Ma non basta, servono momenti di riflessione per scrutare il futuro, capire tendenze di consumo, declinare le previsioni economiche per il settore, individuare insomma una strada. Interrogarsi sul destino di un territorio. Come sarà la Sicilia del vino tra dieci o vent’anni? Com’è ovvio, da Sicilia en primeur non è arrivata una risposta certa. Ma è stata l’occasione per raccogliere spunti da approfondire.
I tre patriarchi del vino isolano
Mariangela Cambria, presidente di Assovini Sicilia (il gruppo di produttori che organizza l’evento), ha ricordato la figura di tre patriarchi del vino che hanno dato una svolta, dagli anni Ottanta (quando la Sicilia vantava 180.000 ettari di vigneto) in poi, all’economia regionale del vino: Diego Planeta che trasformò in un’azienda competitiva la cooperativa Settesoli, Giacomo Rallo che fondò Donnafugata e l’enologo Giacomo Tachis, costruttore e cantore del carattere mediterraneo dei vini.
Ognuno di loro ha scritto un pezzo di storia nel rinnovamento del settore in Sicilia, traghettandolo dall’era artigianale basata sulla grande quantità a quella dell’approccio qualitativo diffuso, diventato patrimonio non solo di poche grandi famiglie blasonate, ma di intere generazioni di vignaioli.
Un calo del vigneto del -30%
Arrivati nel 2025, tra segnali di crisi vicini e lontani, la domanda è: esistono personaggi del vino nell’isola che siano in grado di replicare la svolta avvenuta a partire da una quarantina di anni fa? E poi: c’è un obiettivo e un metodo per realizzare la prossima svolta? Nei giorni di Sicilia en primeur qualche idea è circolata. Tra gli interventi più organizzati e riflessivi, va segnalato quello del Master of Wine Andrea Lonardi. Ha ricordato che la Sicilia è uno tra gli asset più importanti del vino italiano, con 97.000 ettari di vigneto e oltre 35.000 aziende. Negli ultimi 25 anni il vigneto siciliano è diminuito di quasi un terzo (-30%), più del doppio rispetto alla media italiana (-12%). Non è detto che sia un male, di certo segnala che la grande vasca del vino sfuso di un tempo si è via via svuotata per lasciare il posto a bottiglie ed etichette.
Le 13 S di Andrea Lonardi
Il discorso di Lonardi è stato diviso in capitoli contrassegnati da parole che iniziano per S: Scenario, Storia, Sociale, Sostenibile, Sito, Stile, Sistema, Strategia, Successione, Sperimentazione, Segno, Sfida, Sogno. La tesi è questa: c’è stato un “brevissimo eldorado dal 2000 al 2005 dei vitigni internazionali-siciliani. Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah venivano pagati il doppio rispetto ai locali Catarratto, Grillo e Nero d’Avola. Un sogno durato poco, promosso dai fondi Ocm, con vitigni e vigneti che si sono dimostrati non sempre adatti al clima mediterraneo e al mercato. Per fortuna la Sicilia ha saputo in breve tempo riprendersi una maggiore identità territoriale, grazie anche a ulteriori aiuti che hanno contribuito, a partire dal 2010, al forte ritorno dei vitigni autoctoni come Grillo, Frappato, Nero d’Avola, Carricante, Nocera, Nerello, Perricone e Catarratto.
La forza degli autoctoni
Innegabili la potenza del fenomeno Etna e il tesoro biologico di 70 vitigni autoctoni. Resta da capire se gli autoctoni e la loro leva territoriale, con la possibilità di associare nella narrazione gusto e culture locali, bastino a competere nel mondo. È vero che tra i consumatori trionfa un paradosso: si beve meno, ma si è più stimolati a conoscere e ad esplorare. Fenomeno che mette sotto i riflettori anche piccole denominazioni, che con rapidità passano dall’oblio ai riflettori. Ma talvolta tornano dopo pochi anni di clamore, con altrettanta rapidità, nel loro recinto ombroso.