Food Food Jessica Bordoni

La ristorazione ai tempi del Covid-19: i commenti di chi ha riaperto

La ristorazione ai tempi del Covid-19: i commenti di chi ha riaperto

Diciamolo subito: non è stata una ripartenza col botto. Non poteva essere altrimenti, vista la situazione ancora incerta e difficile in cui tutti ci troviamo.

Dopo oltre due mesi di chiusura forzata, lo scorso 18 maggio il Governo ha dato il via libera alla riapertura di ristoranti, bar e locali in tutta Italia. Non più solo asporto e delivery: per i gestori torna finalmente la possibilità di accogliere i propri clienti per un pranzo, un drink o un caffè.

In molti hanno deciso di aspettare

La parola d’ordine, al Nord come al Centro e al Sud, sembra essere cautela: in questi primi 10 giorni i ristoratori e gli chef stanno letteralmente prendendo le misure (a cominciare dal metro di distanza tra i commensali imposto dal decreto Rilancio) e studiando le migliori strategie per rimettere in moto efficacemente la propria attività, contenendo i costi ed evitando gli sprechi. Per questo in molti non hanno ancora rialzato la serranda e contano di farlo più avanti: nel corso di giugno, ma anche a luglio e a settembre. La voglia di fare non manca, al contrario, ma c’è anche la consapevolezza di quanto la circostanza sia delicata, inedita e la posta in gioco altissima.

L’interno del Moebius

Moebius

Iniziamo a sentire la voce di chi non ha voluto aspettare e ha deciso di aprire subito. Il “distanziamento sociale”, ovviamente, ha privilegiato chi possiede ampie metrature. È il caso di Moebius, il recente progetto meneghino dello chef Enrico Croatti. «Abbiamo riaperto il 22 maggio e siamo ripartiti con grande carica», spiega il titolare Lorenzo Querci.

Il cliente deve sentirsi sicuro e rilassato

«I nostri quasi 700 metri quadrati ci consentono di rispettare tutte le norme garantendo la massima tranquillità ai nostri avventori». Perché la vera sfida, al di là di tutte le restrizioni da seguire, è proprio questa: far sentire il cliente sicuro e a proprio agio. «Il ristorante deve continuare a essere un piacere, un’esperienza di relax e divertimento, oltre che di buon cibo. Noi, ad esempio, abbiamo pensato ad un gadget: la mascherina protettiva firmata Moebius, che omaggiamo a tutti coloro che vengono a trovarci».

Enosteria Lipèn

A Triuggio, in Brianza, si trova l’Enosteria Lipèn, una delle pizzerie gourmet più premiate d’Italia. Il patron Corrado Scaglione ci racconta come si è organizzato per la riapertura: «Abbiamo aperto il 20 con tutte le disposizioni di sicurezza del caso, ma soprattutto con grande entusiasmo. Stanno venendo molti nostri habituée: ritrovarli e sapere che siamo loro mancati è un’iniezione di adrenalina. Detto questo, non nascondo le numerose difficoltà. Con le mascherine sempre indosso, io e i miei ragazzi ci siamo attrezzati per sorridere anche con gli occhi».

Sorridere con gli occhi e sfruttare il dehors

Il menu cartaceo è stato sostituito da un plexiglass  posizionato sul tavolo. Basta fotografare il QRcode con l’applicazione Foto del proprio cellulare e subito si apre una finestra con il menu da cui scegliere la pizza. «A fare la differenza è anche e soprattutto la presenza di un dehors; avere uno spazio esterno ci permette di distribuire i tavoli anche fuori, disponendo i clienti a macchia di leopardo. Con l’arrivo della bella stagione contiamo di sfruttarlo sempre di più».

Domenico Della Salandra di Clotilde Brera

Clotilde Brera

Anche i locali con terrazza hanno una marcia in più. Quella di Clotilde Brera dà su piazza San Marco, nello storico quartiere milanese di Brera. «Ora i tavoli sono più distanziati e abbiamo previsto meno coperti», spiega lo chef Domenico Della Salandra, «ma questo non toglie niente alla magia della location. L’atmosfera diventa ancora più intima con l’obiettivo di far sentire le persone come se fossero a cena sulla propria terrazza di casa». Nell’ottica di rafforzare il legame di fiducia con l’ospite, si punta a un’ospitalità più personale e familiare.

Puntiamo a una ristorazione più familiare

«In cucina ho deciso di tornare alle origini e offrire una proposta che strizza l’occhio alle trattorie storiche o alle osterie di mare, quelle in cui l’oste ti dà la possibilità di scegliere come vuoi cucinare  ad esempio il pescato del giorno, se al forno, alla griglia, al sale… dandoti al contempo un ventaglio di proposte sul tema». E ancora: «Meno coperti a disposizione significa più spazio e più possibilità per il cameriere di dedicarsi al cliente, dando maggiore consulenza nella scelta dei piatti e nell’abbinamento con i vini e i cocktail. Ancora una volta il modello è quello dei ristoranti d’antan e delle osterie a gestione familiare».

Lo chef Jiang del Mu Fish prepara il sushi

Mu Fish

Sul fronte degli etnici citiamo il ristorante di cucina fusion Mu Fish di Nova Milanese, tra i primi ad attivarsi. «Abbiamo deciso di rimanere aperti sette giorni su sette, sia a pranzo che a cena per recuperare il tempo perso», spiega il titolare Liwei Zhou. «Tra lo staff di sala abbiamo individuato un supervisore sicurezza per far sì che vengano rispettate tutte le misure sanitarie necessarie. I coperti sono stati dimezzati; siamo passati da 120 a 60, di cui 16 all’aperto, e la prenotazione è diventata obbligatoria per registrare i dati degli avventori. È tutto più complicato, ma siamo contenti di aver riaperto e lo spirito di squadra è molto alto».

Aperti 7 giorni su 7 con il supervisore sicurezza in sala

Restano attivi anche il servizio a domicilio e quello da asporto. «Il menu è disponibile sul sito del ristorante. Oltre ai piatti, è possibile acquistare i vini della cantina di Mu Fish e, da questa settimana, anche il nostro “Mu drink”, un cocktail preparato dal nostro bartender Sergio Testaverde e confezionato ad hoc in pratici contenitori monouso. A mio avviso, sia per il delivery che per la ristorazione classica, quello che farà la differenza sarà proprio la capacità di distinguersi, di offrire un’accoglienza e un prodotto speciali, curando ancora di più tutti i dettagli e coccolando il cliente».

Lo chef Stefano Cerveni

Due Colombe, Terrazza Triennale e Gud

Stefano Cerveni è lo chef del ristorante stellato Due Colombe di Borgonato (Brescia), ma anche della Terrazza Triennale a Milano e dei sei locali Gud, sempre in città. «Abbiamo deciso di riaprirli tutti, certamente per una motivazione di tipo economico, ma anche per l’esigenza di rimetterci in pista: il contatto con il pubblico ci mancava molto. C’è un forte desiderio di rinascita e il riscontro di questi primi giorni di attività è buono, superiore alle aspettative. Senza dubbio una fetta di clientela è ancora timorosa, ma la nostra scommessa è proprio questa: garantire un’atmosfera piacevole, pur rispettando tutte le norme sanitarie necessarie». Su questo sia lo chef Cerveni che il suo staff sono molto rigorosi.

Noi ci siamo, ma il Governo deve sostenerci

«Riguardo alle disposizioni richieste dal Governo, nulla da eccepire, al contrario. Sono invece molto polemico riguardo a come l’esecutivo sta gestendo l’emergenza in termini di aiuti alle aziende. A Milano, i nostri 130 dipendenti non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione, mentre per quelli di Borgonato è arrivata solo quella relativa al mese di marzo… Noi imprenditori della ristorazione stiamo dando fondo alle nostre risorse, i finanziamenti sono difficili da ottenere e, in ogni caso, significa indebitarsi. Mi auguro che il Governo raddrizzi la rotta e si renda conto dell’importanza di sostenere concretamente il nostro comparto». E sul fronte dell’offerta culinaria, cosa è cambiato? «Da sempre sono attento ai prodotti made in Italy e mai come adesso sceglierli è centrale per far partire l’economia». Perché oltre alla voglia di rimettersi in gioco c’è anche un forte senso di responsabilità.

Nella foto di apertura: la terrazza di Clotilde Brera

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© Riproduzione riservata - 27/05/2020

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