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Il Marroneto: mission vitivinicoltura naturale

25 Giugno 2012 Roger Sesto
Annate storiche di vini mitici (15): Toscana II parte Tra le realtà di nicchia più interessanti figura senz’altro il Marroneto, di proprietà della famiglia Mori dal 1974. Alessandro, attuale patron, non esita a raccontarci della sua tenuta: «Quando l’acquisimmo, le viti erano una selezione di cloni di Sangiovese fatta dall’Università di Pisa per far nascere quello che si sarebbe chiamato Sangiovese di Brunello; la forma di allevamento il diffuso cordone speronato. Nel 1975 io e mio fratello piantammo i primi 3.000 metri quadrati di vigna, nel 1979 altrettanti e nel 1984 gli ultimi 9.000. Nel 1980 imbottigliammo 1.855 bottiglie di Brunello di Montalcino, nel 1981 poco più, 2.555 nel 1982 e così via». IL BRUNELLO MARRONETO - Prosegue Alessandro Mori: «Oggi sono considerato un biodinamico. Non perché segua i protocolli, ma solo perché produco nel rispetto della natura: osservazione delle fasi lunari per i travasi, sedimentazione naturale, nessun controllo della temperatura. Per me la vendemmia è la fine del lavoro, non l’inizio!». Chiediamo allora di raccontaci cosa accade in vigna: «Cerco di non sfruttare troppo le piante e di lasciar loro il tempo di riposare: poto a marzo come si faceva un tempo. Quindi seleziono l’uva in modo da arrivare a una produzione non superiore a 50 quintali per ettaro. Infine, la fase cruciale della vendemmia. Raccolgo il grappolo quando il raspo incomincia a prendere quel colore marroncino che mi fa capire che i vinaccioli interni hanno raggiunto la dovuta maturazione e che i tannini naturali sono pronti per essere usati. Da qui la longevità dei miei Brunelli: dovuta al fatto che sono ricchi di tannini vegetali che vanno a far parte della massa acida del vino, facendolo rimanere giovane e brillante, senza necessità di caricarlo di solforosa. Molti trovano i miei Brunelli acidi: ma è proprio questo il segreto di tanta durevolezza; poi, nel tempo, i tannini si ammorbidiscono e regalano un grande vino da emozione». LE ANNATE MIGLIORI - Ma cosa vuol dire poter assaggiare un vino magari di 20 o 30 anni? «Significa fare un viaggio nel tempo e rivivere le esperienze della tua vita corrispondenti all’anno del vino che stai degustando; la tua memoria non corre più verso quella data vendemmia, bensì ti consente di rivivere il tuo passato; il vino si fa album di ricordi». Chiediamo se sia legato a qualche particolare annata. «Senz’altro la 1981 fu una vendemmia particolarissima, poi la 1995, altra grande annata; alla 1996 sono legato per affezione: è l’anno di nascita di mio figlio. Poi le più recenti e ancora in divenire 2005 e 2006»

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