Food Food Maria Cristina Beretta

Formaggi d’Italia: le due anime del Bitto

Formaggi d’Italia: le due anime del Bitto

Inauguriamo una nuova serie dedicata alla produzione casearia nazionale. Ogni mese una specialità, a cominciare da questo formaggio d’alpeggio a latte crudo, tipico della Valtellina e diffuso anche nel Bergamasco e nel Lecchese. Il marchio Dop e lo Storico Ribelle.

Un pezzettino di Bitto nel piatto profuma tutta la stanza, così come in bocca sprigiona sapori di ampia intensità. Il Bitto è uno dei rari formaggi nato da animali che pascolano in alpeggio, ad altitudini che variano dai 1.500 a oltre 2.000 metri. Qui bovini e capre vengono portati solitamente da giugno a settembre, quando nella stagione più calda dell’anno c’è abbondanza di numerose specie di erbe nutrienti e profumate.

Dove si può produrre il Bitto

L’origine del formaggio sembrerebbe risalire ai tempi delle popolazioni celtiche e ha cuore nella Valle del Bitto, dal nome del torrente che la percorre, nell’areale che comprende la Val Gerola e la Valle di Albaredo, sul versante orobico della Valtellina. È il lato più freddo e umido della valle, dato che è esposto a nord. Insiste anche in provincia di Bergamo e in parte in quella di Lecco. Da quando è nata la Dop vi sono state modifiche produttive tra le quali l’ampliamento dell’area all’intera provincia di Sondrio. Da allora i produttori storici sono usciti dal Consorzio e si sono riuniti in un’associazione, creando un marchio a parte, lo Storico ribelle,con il quale garantiscono di mantenere la percentuale del latte caprino da razza orobica, usare latte di razze vaccine autoctone, salvaguardare la zona storica produttiva, bandire i fermenti e gli integratori alimentari e usare fuoco di legna.

Le fasi di lavorazione

Le bovine devono essere munte la mattina e la sera ed il latte va lavorato ancora tiepido. Lo si trasferisce nel recipiente chiamato caldera, lo si scalda a circa 40 °C assieme al latte di capra (10-20%), si aggiunge il caglio e si aspetta che agisca per poi sminuzzare la cagliata con l’apposito attrezzo chiamato lira fino a farle raggiungere le dimensioni di un chicco di riso. Con un telo di lino, che aiuta lo sgrondo del siero, si raccoglie la cagliata e la si mette nelle fascere di legno, pigiandola bene. Si continua con la salatura delle superfici. Dopo alcuni giorni si toglie la fascera dalla forma e si passa alla stagionatura del formaggio su ripiani di legno.

Da due mesi a 10 anni di stagionatura

Il lavoro non è finito, occorre rivoltare i formaggi e ripulirne la crosta per parecchi giorni, una volta al giorno. A distanza di poco più di due mesi, 70 giorni per l’esattezza, il formaggio avrebbe le caratteristiche per diventare Bitto e può essere marchiato. La stagionatura può prolungarsi fino a 10 anni. La richiesta maggiore è attorno all’anno.
L’impegno del casaro è lungo e faticoso. Si lavora spesso all’aperto nei calècc, mini casere racchiuse da pietre impilate e con un telo sopra la testa. Sempre meno persone sono disposte a farlo.

Come riconoscere la qualità del Bitto

È un formaggio a latte crudo (si scalda a bassa temperatura), grasso(il latte è intero) e a pasta semicotta (la cagliata è  cotta attorno ai 50° C.) con piccola occhiatura. Appartiene alla categoria grasso d’Alpe ed è con questa specifica che vengono vendute buona parte delle forme. Il marchio Bitto, infatti, è diventato di proprietà del Consorzio. Le forme attuali variano dai 10 ai 15 chili anche se fino a qualche decina di anni fa si arrivava a 35-40.
Più è grande la forma e meglio è, sia per la complessità di profumi e sapori sia per la stagionatura. La crosta deve essere di colore giallo paglierino chiaro che nel tempo imbrunisce. Non dovrebbe avere l’unghia, quello strato di colore più scuro che si trova sotto la crosta, indice di una maturazione non perfetta. Sullo scalzo si può trovare il nome dell’alpeggio che vale per gli storici o anche per chi lavora senza uso di mangimi e di fermenti in quelli del Consorzio.
Il taglio ideale del Bitto? Una striscia di circa 20 grammi,mantenendone la crosta che permette di capire la lavorazione e lo stato di salute. Pensando agli abbinamenti, quelli più riusciti sono con i vini del territorio ad iniziare dal Rosso di Valtellina per le forme più giovani, per proseguire con un Valtellina Superiore per concludere con lo Sforzato. Essendo il vitigno Chiavennasca di fatto un Nebbiolo, si può provare anche con i cugini piemontesi, scegliendo tra le diverse zone. Si può partire da un Roero, continuando con un Roero Riserva e concludendo con un Barbaresco.

I produttori storici, dopo le modifiche del disciplinare, sono usciti dal Consorzio e si sono riuniti in un’associazione, creando un marchio a parte, lo Storico ribelle © M. Mariana

La nostra selezione

Centro dello Storico Ribelle, Gerola Alta (Sondrio)

La sede dell’associazione dei produttori del versante orobico è  anche e soprattutto una cantina di stagionatura e un punto vendita del prezioso lavoro di un’estate di piccoli casari. Ogni alpeggio ha un suo spazio con forme riconoscibili dal nome del casello e dalla foto del responsabile. La scelta è ampia sia per tipologia sia per i tempi di stagionatura. 

Fratelli Ciapponi, Morbegno (Sondrio)

Nel negozio storico, i cugini Paolo e Alberto hanno riservato alcune salette ai formaggi, con forme di Bitto sia marchiate dal Consorzio sia quelle classificate come grasso d’Alpe, selezionate da loro nelle vallate di Gerola e di Albaredo e lavorate secondo la tradizione. L’invecchiamento proposto arriva fino a 4-5 anni con rarità di 10.

Antichi Sapori, via Garibaldi 63, Morbegno (Sondrio) – 334.95.84.382

La volontà di valorizzare i prodotti storici e autentici della Valtellina ha portato Roberto Del Nero a lavorare solo con il marchio Storico Ribelle. In questo locale si propongono 6-7 annate di forme di vari alpeggi ad iniziare da una stagionatura minima di 70 giorni per arrivare a 4 anni e oltre. Molto richiesto il 12 mesi.

Maurizio Negrini, Caspoggio (Sondrio)

Nel negozio di famiglia si possono trovare forme fino a 2 anni di stagionatura di Bitto marchiato e di grasso d’Alpe, entrambi di produzione propria. Maurizio Negrini segue personalmente gli alpeggi spostando le bovine a secondo della stagione tra quota 1.500 e quota 2.300, avendo così maggior disponibilità di essenze fresche.

Latteria Sociale Valtellina, Delebio (Sondrio)

Per il Bitto la cooperativa ha in affitto un alpeggio da cui ritira sia le forme che saranno marchiate dal Consorzio sia quelle vendute come grasso d’Alpe. Un buon quantitativo è anche acquistato da produttori di altri alpeggi. Nel punto vendita sono disponibili solo forme dell’ultimo anno, con qualche eccezione se richiesta per tempo.

Pedranzini, Bormio (Sondrio)

Per ottimizzare il lavoro in alpeggio Andrea Pedranzini, produce solo con la mungitura del mattino, preferendo ricavare ottimo burro e latte per un formaggio semigrasso con quella della sera. L’area del pascolo che si trova nella Valfurva è da oltre sessant’anni legata alla sua famiglia che comprende ben nove fratelli, impegnati in diverse attività.

Foto di apertura: a livello di stagionatura e profumi, più le forme sono grandi meglio è © Consorzio per la Tutela dei Formaggi Valtellina Casera e Bitto

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© Riproduzione riservata - 24/02/2024

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