
Dal nostro archivio (1979) | Grandi firme per Civiltà del bere: Giorgio Bocca e quella “grande sconosciuta” della Valle d’Aosta

Con la sua inconfondibile prosa sferzante, il celebre scrittore e giornalista piemontese passa in rassegna la produzione enologica regionale, certificandone la rinascita e l’unicità. Perché ogni collina ha il suo vino e in qualsiasi ristorante è possibile trovare Petit rouge e Gamay di buona qualità a prezzi abbordabili.
Per uno come me che nasce nelle terre del Barolo e del Barbaresco l’incontro con i vini valdostani è stato diffidente e presuntuoso. Il Laurent Ferretti, allora sindaco di Courmayeur, mi faceva assaggiare il suo Bibian, purtroppo scomparso per mancanza di vignaioli e io gli davo un sei più, se ero in vena di cordialità sempre fermo a quel pregiudizio piemontese, a quella adorazione cuneese per il grande vino corposo, profumato, con coda di pavone; ancora restio a capire ciò che i vini valdostani mi hanno aiutato a capire: la unicità dei buoni cru, la imparagonabilità fra un vino buono e l’altro, ciascuno da prendere per la sua qualità, per il suo luogo, in quella sua stagione.
Elogio dell’unicità legata al territorio
I vini valdostani come i valtellinesi sono trasportabilissimi, salvo i bianchi di La Salle e di Morgex troppo delicati; ma si riconferma il principio che ogni valle o collina ha il suo vino e che esso sta ai gusti degli alimenti locali come i filari e gli appoggi delle sue vite stanno al paesaggio. Ora in Val d’Aosta si va rinunciando ai pilastrini di pietra che per secoli hanno fatto d’appoggio alla vite; continuazione o imitazione naturale delle rocce e dei massi erratici sparsi per le vigne; ma il gusto del vino con acidità lieve e gradevole, con profumo di graspo ma su un fondo che gli anni rendono più caldo, più vellutato è insostituibile, con fondute e salumi della valle.
Una produzione agroalimentare tutta da scoprire
E qui vorrei fare una breve disgressione dai vini: le trattorie della Valle d’Aosta, salvo nella parte bassa come, quella di Bard o il Pierre di Verres sono mediocri; a Courmayeur non c’è un solo ristorante valdostano decente e Filippo di Entrèves è ormai prigioniero del folklore culinario di massa chiestogli dai suoi clienti; gli esperti di cucina e i cercatori di alimenti si sono fermati a questa mediocrità, la Valle d’Aosta resta una grande sconosciuta, per nostra fortuna.
Ma se si incomincia a percorrere le valli laterali, a risalire sui pendii del versante sinistro, assolato, con villaggi fino a 1800 metri come Vens o Chalanchin si trovano coppe e prosciutti eccellenti, verdure sotto aceto, direi, uniche, verdure sode, profumate, intatte; c’è una agricoltura montana di altissima qualità che continua a produrre alimenti ormai introvabili nei paesi di fondovalle, con fontine ”di seconda” incomparabilmente migliori di quelle “di prima” bianche, bucherellate, amarognole.
Una panoramica dei vini più emblematici
Non stiamo a sottilizzare sui confini inventati dall’uomo; Carema anche se sta sotto Pont Saint Martin è terra valdostana, vino valdostano. Di un vitigno sopravvissuto alla strage dell’Ottocento; uno di quei vini misteriosi ad alta gradazione ma che non ti ubriacano. Poco più su il Donnaz: peccato che a forza di francesizzarlo lo abbiano reso opaco e troppo profumato; ma il vino minore il Picotendro resta eccellente. Attorno ad Aosta ci sono dei Gamay eccezionali, uno di Chezallet che non dico, perché voglio berne fin che si può; poi l’Inferno di Avise e Saint Pierre e, più su, i bianchi di Morgex che toccarono la perfezione quando era in vita l’abate Bougeat.
Ma non voglio fare come il raffinato che consigliava i funghi del Tonale e diceva così, en passant, che li si può trovare due o tre giorni l’anno, nell’ora fuggente in cui il sole appare sul pendio. Voglio dire piuttosto una cosa seria, fare un riconoscimento serio ai valdostani.
La rinascita (anche vinicola) della Valle d’Aosta
Come cronista di un giornale torinese ho conosciuto la Valle d’Aosta come era nei secoli della miseria e della degradazione contadina: più povera della sua povertà, più arretrata della sua solitudine. Sentivo che c’era nella valle una struttura civile antica, una musica forte di storie umane non minime e non mediocri; sentivo nella valle la presenza del sacro e dell’eroico, del Montis Jovis e dei grandi eserciti, accampamenti di Annibale e precipiti marce di Napoleone; eppure non mi sarei sentito di puntare sulla rinascita valdostana, sulla ricomposizione civile della Valle, sul suo modo di adeguarsi, nel giro di pochi anni allo stato civile della Svizzera e della Savoia.
Eppure, è stato così anche nei vini: quindici anni fa qui o si trovavano i grandi vini dei piccoli campi privati o i vini pessimi di commercianti incapaci e imbroglioni, ma più incapaci che imbroglioni. Adesso la produzione di serie dei Petit rouge e dei Gamay è buona, sicura, in qualsiasi ristorante pranziate siete sicuri di avere un vino della valle decente. E a prezzi ancora buoni.
Giorgio Bocca, scrittore, giornalista e partigiano piemontese (1920-2011)
Foto di apertura: elaborazione grafica © V. Fovi
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© Riproduzione riservata - 11/10/2024
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