Food Food Gualtiero Spotti

Le stelle italiane della cucina brillano anche nei cieli altrui

Le stelle italiane della cucina brillano anche nei cieli altrui

Non sempre i nostri giovani cuochi, dopo un’esperienza all’estero, tornano da noi. Alcuni scelgono di trasferirsi definitivamente. Una storia che si ripete, da miti come Sirio Maccioni e Lidia Bastianich alle nuove leve.

Ormai è un trend difficile da arrestare. Oggi i cuochi in erba cercano sempre più di diversificare le proprie esperienze su vari tipi di cucine e, per crearsi un background formativo interessante, si concedono trasferte di lavoro in altre nazioni. Lo scopo è crescere e capire meglio quali siano le opportunità che offre il mondo della ristorazione contemporanea. Fino a qualche tempo fa, nella maggior parte dei casi, queste trasferte si traducevano in un semplice apprendistato di qualche mese. Il passo successivo era quasi sempre lanciarsi in prima persona nell’apertura di un ristorante a casa propria, in Italia.

La migrazione degli chef, fenomeno globale

Per svariate ragioni – non ultima il momento non facile che caratterizza l’economia dei Paesi del Mediterraneo, e di conseguenza per avere qualche soddisfazione economica – strada facendo, sono molti i cuochi che hanno deciso più drasticamente di trasferirsi all’estero o di prolungare a tempo indeterminato la sosta fuori dall’Italia. Certo, si è anche guidati della semplice curiosità di voler osservare il mondo al di fuori dal proprio orto. Ed è anche un processo figlio dell’estrema facilità con la quale si viaggia ai giorni nostri per andare alla ricerca di nuove emozioni, o di nuove fonti di ispirazione diverse da quelle circoscritte a un unico territorio.  Questo dice molto sull’approccio global che la cucina ormai da diversi anni mostra chiaramente nel momento in cui si mettono le gambe sotto il tavolo.

I pionieri negli Usa

Alcuni di questi cuochi italiani, i primi a spostarsi in giro per il mondo, oggi sono dei veri e propri monumenti dell’italianità a tavola. Pensiamo a figure ormai quasi leggendarie come Lidia Bastianich e Sirio Maccioni (il suo Le Cirque è stato per anni un tempio del buon cibo a New York), che affondano le radici della loro popolarità negli anni Settanta del secolo scorso. Lo stesso Mario Batali, che a dire il vero nel suo albero genealogico vede origini piuttosto variegate, tra Italia, Francia e Canada (e lui in ogni caso è nato a Seattle), ha saputo diventare un brillante ambasciatore del gusto di casa nostra attraverso un ristorante stellato, sempre a New York, e una massiccia, oltre che fortunata, presenza mediatica sul piccolo schermo. In giro per il mondo poi si incontrano anche nomi ben noti come i fratelli Cerea o Heinz Beck, che sono quasi delle multinazionali gourmand, ma in questo caso la casa madre rimane in Italia e si esporta un brand o un know how.

 

Umberto Bombana nel suo Otto e Mezzo di Hong Kong

 

….e a Hong Kong

Altri sono quelli che hanno fatto una scelta di vita. Tra i guru un po’ meno conosciuti ai più (se non agli addetti ai lavori), ma che riscuotono grande fortuna all’estero, non si può ignorare la figura di Umberto Bombana, bergamasco che, da precursore del genere, già negli anni Novanta inaugurava il suo primo ristorante in quel di Hong Kong. Oggi ha un vero e proprio impero di indirizzi rinomati sparsi in tutto il Sudest asiatico. Tra questi spicca oltretutto l’unico tristellato italiano all’estero, chiamato 8 1/2 Otto e Mezzo Bombana e ispirato al celebre film felliniano. Un cuoco che non ha fatto marcia indietro e ha saputo costruire le sue fortune negli anni, lontano dalle valli orobiche, nelle quali ritorna di tanto in tanto solo per concedersi una vacanza.

Foto in apertura: il ristorante Hof Van Cleve, uno dei due tristellati del Belgio; qui ha lavorato lo chef Marco Stagi, che ora si appresta a ritornare in patria con la compagna Laira (foto: P. De Kersgieter)

 

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© Riproduzione riservata - 30/10/2018

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