Che cosa ci ha insegnato questa pandemia?

Che cosa ci ha insegnato questa pandemia?

Una riflessione sui cambiamenti prodotti dal Covid nel nostro settore. Pochi in realtà. Viaggi e fiere sono ripresi a pieno ritmo e l’interesse verso il mercato interno è presto calato. Quest’ultima è forse un’occasione persa, soprattutto in un Paese come il nostro.

Che cosa ci ha insegnato questa pandemia? Spoiler: niente. Anticipiamo l’esito della riflessione così, chi ha fretta, può risparmiarsi il seguito. Per essere meno drastici, possiamo limitarci a dire “poco”. La letteratura come sempre svela l’essenza delle cose, e scriveva bene Grazia Deledda: “Siam proprio come canne al vento…”. La pandemia è stata una bora che ha messo alla prova la nostra capacità di resilienza, chi è sopravvissuto si è piegato ma siamo tornati alla posizione di partenza.
Consideriamo alcune cose che pensavamo sarebbero mutate, invece no.

I viaggi battono le videocall

Pareva potessimo fare a meno di troppi viaggi, beneficiando delle videochiamate per incontrare partner commerciali o per degustare vini a distanza. In realtà, appena è stato possibile abbiamo ripreso gli aerei per incontrare importatori o per visitare cantine e zone vinicole. È parte del nostro essere umani, abbiamo bisogno di fisicità, di realtà reale: un accordo concluso dal vivo e un calice assaggiato col produttore hanno un sapore più intenso. Piuttosto, l’abitudine alle videocall ha sancito il predominio dell’immagine sulle altre forme di comunicazione (scrittura e voce). I reel si guardano più dei blog, e la classica telefonata ha un che di nostalgico: ci si videochiama in situazioni imbarazzanti, appesi alla maniglia della metro, con lo sfondo del bagno oscurato o peggio alla guida dell’automobile.

Sono tornate le grandi fiere

Temevamo (o speravamo) anche che le fiere si ridimensionassero: molte aziende vedevano un’opportunità nel risparmio dei costi di partecipazione agli eventi internazionali, da dedicare ad altro, ma non è successo. Si sono appena concluse la fiera a Parigi e ProWein, che pare abbiano avuto successo. Un quadro più completo su questo tema lo avremo a breve, dato che è in Vinitaly, una delle punte di diamante nel settore. A fronte di qualche defezione (ma ci sono sempre state) Vinitaly è al completo. D’altronde una grande fiera è l’occasione migliore per incontrare nel minor tempo possibile il maggior numero di persone, dal vivo (vedi sopra).

Si punta di nuovo sull’export

Altra lezione pandemica da interpretare, forse la principale: il rapporto con il mercato domestico.
Quando erano chiusi i ponti con l’estero, e l’Italia riapriva, tante aziende che si erano dedicate soprattutto a espandere i mercati internazionali (opportunamente, perché quello interno era saturo) nel post-pandemia si sono rese conto di quanto invece fosse importante rinsaldare i rapporti con i clienti più prossimi. Perciò nel 2022 gran parte del budget marketing era stato riservato al mercato nazionale. Quest’anno, riaperti i Paesi terzi che sono colonne portanti del settore, sono tutti in volo, per riprendere i contatti col mondo, con conseguente brusca virata del budget sui mercati esteri.
Il mondo del vino, composto per la maggior parte da piccole aziende famigliari, sotto questo aspetto è ancora un poco immaturo, con strambate che ricordano più il dilettantismo del velista adolescente rispetto alle strategie dei professionisti in corsa per l’America’s Cup. Invece, la competizione internazionale del vino richiede strategie coerenti di lungo termine, per ottenere il miglior posizionamento possibile, a partire dal ristorante sotto casa. La vocazione turistica del Paese e i consumi da parte di stranieri in Italia rendono il mercato interno solo apparentemente domestico. L’osservazione è certamente condivisa da quei big player che si erano accorti di essere divenuti leggende all’estero, ma di aver perso smalto in Italia, e hanno rivisto i proprio piani per riconquistare gli estimatori in patria.

Alla fine, siamo animali sociali

Dunque, la pandemia non ci ha insegnato niente? In realtà, i ristoranti pieni e le vendite in enoteca confermano che il vino di alta qualità è sempre più amato, in particolare nelle occasioni conviviali. Ci è bastato perderle per qualche mese per apprezzarle ancor di più. Ma che fossimo animali sociali lo scriveva già Aristotele nel IV secolo a.C.

Foto di apertura: © A. Vesakaran – Unsplash

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© Riproduzione riservata - 27/03/2023

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