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Amarone Opera Prima: numeri e sfide nel segno dell’identità stilistica e territoriale

8 Febbraio 2024 Monica Sommacampagna
Amarone Opera Prima: numeri e sfide nel segno dell’identità stilistica e territoriale
Alcuni dei protagonisti di Amarone Opera Prima © Consorzio di Tutela Vini Valpolicella

Dal 3 al 4 febbraio il Palazzo della Gran Guardia di Verona ha ospitato la XX edizione dell’anteprima, con assaggi en primeur dell’annata 2019 e non solo. Il commento dei vertici del Consorzio di tutela e gli obiettivi per il futuro

Nuove sfide per l’Amarone della Valpolicella Docg alla luce del cambiamento climatico, del calo di vendite per i vini rossi e delle particolari esigenze di nuovi consumatori, in particolare della generazione Z. Sono emerse alla XX edizione dell’anteprima Amarone della Valpolicella, da tre anni denominata Amarone Opera Prima, che ha attratto operatori e pubblico al Palazzo della Gran Guardia di Verona dal 3 al 4 febbraio con l’annata 2019, e non solo. Identità è la parola chiave al centro delle riflessioni del Consorzio di tutela che ha organizzato assaggi en primeur e sta sviluppando un percorso con i soci per comprendere quali opportunità si può ritagliare la Valpolicella in un contesto non facile.

2023: meno vino, ma incremento a valore per Amarone e Recioto

«A fronte di un vigneto Valpolicella stabilizzato a 8.600 ettari, l’anno scorso i produttori hanno messo a riposo la quota record di 430 mila quintali di uve, con il risultato che le scorte, che si erano ridotte, sono tornate alle giuste dimensioni». Così ha esordito il presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella Christian Marchesini all’appuntamento veronese. Complice una primavera piovosa, il 2023 non sembrava iniziato bene, ma ha poi recuperato e registra un calo di quantità.
«L’imbottigliato del Valpolicella ha raggiunto 16 milioni di bottiglie (-10%), il Valpolicella Superiore, con 4,7 milioni di bottiglie, dal 2022 ha registrato un incremento del 29%, il Ripasso ha ottenuto 31 milioni di bottiglie (-3%) mentre Amarone e Recioto con 14,5 milioni di bottiglie hanno visto una flessione del 17%. Ad ogni modo, mai come l’anno scorso i nostri due vini Docg hanno registrato valori tanto alti: siamo passati dagli 11 ai 13 euro a litro per lo sfuso». Il giro d’affari dell’Amarone è di oltre 300 milioni su un totale di 600 milioni dell’intera denominazione. Il 61% è rappresentato dall’export, in particolare in Stati Uniti, Canada, Nord Europa, Regno Unito e Svizzera. E si sta affacciando l’Asia.

Il talk inaugurale con i vertici del ©Consorzio di Tutela Vini Valpolicella

Uno sguardo all’andamento del mercato

In base alle elaborazioni dell’Osservatorio Uiv, nel 2023 l’Amarone ha registrato una flessione del -12% nei volumi esportati, a circa 75 mila ettolitri; un dato in linea con il 2019 (+1%) e sensibilmente in crescita negli ultimi 10 anni (+17%). Secondo il responsabile della piattaforma Carlo Flamini, ciò va in parte attribuito a riduzioni nei consumi in particolare in Scandinavia, Canada e anche in Germania, Paese che comunque ha registrato un forte aumento nel canale retail. Per quanto riguarda il mercato statunitense, vanno considerati gli effetti del destocking di prodotto accumulato alla fase distributiva. Risultano stabili, inoltre, le vendite sul canale retail italiano.
Ma quali sono le opportunità? «Ci sono eccezioni importanti nei segmenti premium», ha precisato Carlo Flamini. «Negli Usa, per esempio, a fronte di vendite generali di vino rosso italiano a -9% nel canale più profittevole, quello dell’on-premise, l’unica fascia di prezzo che è riuscita a strappare aumenti è quella all’ingrosso sopra i 25 dollari a bottiglia (+2%). Da qui devono ripartire i prodotti italiani, dimenticando il concetto di rosso da “mass market” e coltivando forti valori di identità e coerenza territoriale e stilistica».

L’evoluzione dell’Amarone

In un contesto di cambiamento, il presidente Christian Marchesini ha dichiarato la necessità di produrre un Amarone sempre più competitivo e contemporaneo, capace di conquistare con il suo aplomb anche le nuove generazioni che virano dai vini con minor gradazione alcolica alla tequila.
«Dobbiamo maturare una visione più progressista dell’Amarone che rimetta in moto la ricerca e lo sviluppo», ha sollecitato il vicepresidente del Consorzio e Master of Wine Andrea Lonardi. «Negli ultimi vent’anni l’Amarone ha registrato il più grande sviluppo volumetrico nel mondo, secondo solo al Prosecco. La superficie vitata è raddoppiata, passando da 4.800 ettari nel 1997 a oltre 8 mila a partire dal 2020, di cui 3.300 sono sostenibili. Abbiamo aumentato la quantità di messa a riposo di uve del +492% in due decenni. Siamo passati da un reddito ad ettaro di poco meno di 5 mila euro ad ettaro nel 1993 a superare i 20 mila ad ettaro dal 2008 e stabilmente sopra i 25 mila negli ultimi tre anni».

Nuove sfide per accrescere la competitività

Andrea Lonardi ha quindi sottolineato la capacità della Valpolicella, sin dagli anni Novanta, di intercettare la richiesta di un vino caldo, morbido e gradevole: «Per farlo si è, però, ecceduto con l’appassimento e con la necessità di rincorrere uno stile che oggi non cresce i», ha commentato. «Dobbiamo, quindi, reindirizzare i nostri vini verso un cambiamento sia in termini di geografie di mercato, che di profilazione del consumatore». Il vicepresidente del Consorzio ha quindi proposto un cambio stilistico, guardando ai commercialmente solidi fine wines che hanno un profondo legame con il territorio di origine e sono identitari: «Occorre pensare a un Amarone che rimetta in equilibrio i suoi fattori produttivi: il metodo (la messa a riposo), il territorio (suolo, vitigni, clima), le persone (produttori, imprese) e la comunicazione. La sfida è complessa, dal volume al valore, e richiede cambi culturali, produttivi, legislativi e comunicativi». Ma ne varrà la pena.

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