Abelé 1757: il nuovo corso della quinta più antica Maison di Champagne

Abelé 1757: il nuovo corso della quinta più antica Maison di Champagne

Nel 2019 il cambio di proprietà (da Freixenet a Nicolas Feuillatte) e l’arrivo dello chef de cave Etienne Eteneau e della direttrice generale Marie Gicquel hanno dato una svolta a questo storico marchio francese. Due anni fa l’ingresso nel mercato italiano, solo nel canale Horeca.

È arrivato quasi in punta di piedi, ma non timidamente, nel 2019. Ha degustato tanto, non solo per capire lo stile dell’azienda, ma anche e soprattutto per prendere confidenza con il grande potenziale presente nei due chilometri di cantina posti a 20 metri sotto terra e ubicati al 50 di rue de Sillery a Reims: i vecchi millesimi gelosamente conservati.
Parlare della Maison Abelé 1757, significa in questo momento confrontarsi anche e soprattutto con la filosofia e l’impronta del suo giovane chef de cave, ovvero Etienne Eteneau, che insieme alla direttrice generale Marie Gicquel, incarna il nuovo corso di questa storica realtà della Champagne, la quinta Maison più antica della regione, da poco tempo sbarcata anche sul mercato italiano.

Il nuovo inizio a partire dal 2019

«La nostra storia in Italia è iniziata solo due anni fa», ha spiegato alla stampa proprio il giovane chef de cave. «Prima il mercato per l’export era soprattutto legato alla Spagna». Non un caso considerando che fino al 2019 era di proprietà del colosso locale Freixenet, per poi passare alla francese Nicolas Feuillatte, sebbene gestione e strategie restino completamente separate. Da allora sono cambiate un po’ di cose: il nome, da Henri Abelé a Abelé 1757, per sottolineare la storicità della Maison, e poi anche vini e assortimento, senza però stravolgere l’impronta originaria che vede la centralità dell’utilizzo dello Chardonnay.
È cambiata anche la forma delle bottiglie delle referenze non millesimate che hanno abbandonato la classica champagnotta per una silhouette con spalle più ampie e collo più lungo. Obiettivo? «Comunicare la nostra nuova distintività». Fondamentale, tuttora, il rapporto con i vigneron, 30 famiglie che possiedono vigne in 23 terroir differenti della Champagne e che rappresentano l’essenza stessa di questa realtà.

Il percorso professionale di Etienne Eteneau

Di origini occitane, vicino a Olonzac nell’Hérault, Etienne Eteneau prima di entrare a far parte dell’universo Feuillatte, al termine dei suoi studi ha lavorato al Dipartimento tecnico e ambientale del Comitato Champagne, per poi andare a fare esperienza all’estero, prima in Australia, nel Nuovo Galles del Sud e poi in California. Tornato in Francia dove ha assunto la responsabilità delle cantine, dell’imbottigliamento e della gestione operativa dei vigneti della tenuta Vranken – Pommery, e infine è giunto in Abelé 1757.

La filosofia dello chef de cave

«Ho lavorato molto sulla liqueur d’expedition nei miei primi millesimi, appena arrivato in azienda, e poi anche sugli assemblaggi» ha spiegato nell’illustrare la sua filosofia. Tre i punti centrali del suo approccio: la centralità dello Chardonnay, da sempre fondamentale per questa Maison, la ricerca della finezza e della freschezza anche nell’invecchiamento, la persistenza dei vini come obiettivo finale. Per ottenere tutto questo non è secondario l’utilizzo dei vini di riserva negli assemblaggi, aumentati con lui dal 15 al 25%.
«Ho capito la potenzialità dei vini di riserva presenti in azienda e ho creato quindi una riserva perpetua, avendo a disposizione vini fino agli anni ’20 del secolo scorso dai quali attingere». Per quanto riguarda i millesimati, la sua idea è quella di ritornare a metterli in commercio solo quando realmente necessario, ovvero quando si è in presenza di annate davvero eccezionali. Quindi, non sempre. Una scelta che ha portato all’eliminazione di alcune referenze nell’assortimento.

La novità, il Blanc de Blancs Extra Brut

La prima firma dello stile del nuovo chef de cave si avverte probabilmente subito nella nuova cuvée lanciata da poco e presente, oltre che in Francia, appositamente solo sul mercato italiano, ovvero il Blanc de Blancs Extra-Brut: solo 1757 bottiglie (evidente il gioco con la data di nascita della Maison), solo Chardonnay proveniente da tre terroir differenti – Côte des Blancs, Sézannais e Vitryat – 3 grammi litro di residuo zuccherino e l’utilizzo della tecnica del poignettage in cantina, ovvero la manuale operazione di scuotimento delle bottiglie per attivare maggiormente lo scambio tra lievito e vino, a partire dalla presa di spuma. «Dodici poignettage ogni tre mesi per quattro anni di sosta sui lieviti», spiega sempre Etienne Eteneau. Nel bicchiere emerge un profilo floreale e nel complesso molto incisivo, ma mai troppo austero e severo, con un palato avvolgente, ricco, che chiude con una tensione minerale interessante e ben calibrata.

Il cuore della gamma

Il trittico non millesimato, ovvero Blanc de Blancs, Brut e Rosé, rappresenta invece il cuore della gamma di Abelé 1757, che nel complesso realizza tra le 200 e le 300 mila bottiglie l’anno destinate esclusivamente al canale Horeca, marcando anche in questo la differenza rispetto alla casa madre Nicolas Feuillatte. Delicato, con tocchi salmastri evidenti e un palato molto morbido e di facile approccio, il Blanc de Blancs ha lo stesso assemblaggio dell’Extra-Brut, il residuo zuccherino sale a 6 grammi/litro e non viene utilizzata la tecnica del poignettage in cantina.
Molto incisivo, con note di frutti rossi che ricordano i mirtilli e il ribes, sfumature di lime e una bocca dritta, tesa e citrina, è invece il classico Brut, che rappresenta circa l’80% della produzione dell’azienda. «È il nostro patrimonio», afferma giustamente Eteneau, nonché la firma della Maison come spesso accade. La base delle uve è quella del millesimo 2019, con l’aggiunta di vini di riserva che arrivano anche dagli anni ’60. Tre le uve che lo compongono: 40% Chardonnay, 35% Pinot nero e 25% Meunier. Se quest’ultimo arriva da tre comuni della Valle della Marne, il Pinot nero viene selezionato da due cru, il primo posizionato sul versante nord della Montagna di Reims e il secondo invece a sud, a Riceys nella Côte des Bar.

Il Brut Rosé non millesimato

«È dagli anni ’50 che l’azienda ha fornitori in questa zona che servono anche per la produzione del nostro rosé». E arriviamo a quest’ultimo, il Brut Rosé, ottenuto con un assemblaggio che prevede il 50% di Pinot nero e il 50% di Chardonnay, anche in questo caso con vini di riserva fino al 30%: al naso ha note soprattutto dolci di fragole e crostata di pesche e frutti rossi e al palato un incedere morbido, avvolgente, facile nella beva. «Non farlo millesimato ha rappresentato una rottura rispetto al passato» ha affermato ancora Eteneau, che ha voluto compensare la ricchezza del Pinot nero di Riceys con l’utilizzo dello Chardonnay.

Lo Champagne simbolo della rinascita di Reims dopo la Grande Guerra

Tra i millesimati dell’azienda, spicca quello denominato Le Sourire de Reims, nato dopo la fine della Grande Guerra con la città che portava ancora i segni dei bombardamenti, a partire dalla sua famosa cattedrale. È nato per finanziare la ricostruzione di una delle sue statue, la più enigmatica, raffigurante un angelo che sorride. Nel 1986 cambia anche forma, ispirandosi ad una bottiglia raffigurata in un quadro del 1735. Oggi è il vino di punta della Maison, in commercio con il millesimo 2013 e frutto del riposo per 10 anni sui lieviti di Chardonnay della Côte des Blancs (Cramant e Bergères-Les-Vertus) per il 60% e Pinot nero dalla parte settentrionale della Montagna di Reims (Verzy, Verzenay) per il 40%. Le note di anice e quelle più minerali si fondono bene con sfumature agrumate e di pesca, mentre al palato, benché affilato e fresco, mantiene un incedere sfumato e di bella delicatezza. 

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© Riproduzione riservata - 03/12/2024

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