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La rinascita della Nascetta, Sauternes piemontese

25 Agosto 2017 Roger Sesto

La storia della Nascetta comincia nel 1800, menzionata in documenti comunali sulle coltivazioni di Alba e Mondovì, già nota all’epoca per la sua qualità in assemblaggio con Favorita e Moscato. Nel 1877 nel Saggio di un’ampelografia universale il Di Rovasenda, chiamandola “Anascetta”, la definisce come “uva delicatissima (che dà) vino squisito”.

Un vino color dell’oro

“Per finezza di gusto, subito dopo il Moscatello viene la Nascetta, che però è di coltivazione assai limitata. Matura quando il Moscato ha graspi discreti con gli acini un po’ più rari e che all’’epoca della maturazione acquistano un bel color giallo-oro. L’uva è squisita al gusto, e dà vino eccellente”, scrive l’ampelografo Lorenzo Fantini, nel 1895. Che prosegue: “Questo vino è quasi esclusivamente prodotto nel territorio di Novello. Riesce di color alquanto più chiaro del Moscato, ma è di finezza uguale. La sua bontà è dovuta unicamente alla natura che fornisce un’uva squisita (…). Alcuni (produttori) tentarono con le Nascette la fabbricazione di un vino bianco sul genere dei vini del Reno, ed ottennero tecnicamente dei soddisfacenti risultati, ma economicamente onerosi, per cui rinunciarono agli studi di perfezionamento”.

 

Il Comune di Novello (Cuneo)

 

Novello è il paese natale

Altro cultore della Nascetta è l’ampelografo Giovanni Gagna che a fine Ottocento scrive: “Dalle uve Anascette, puossi ancora ottenere vero vino del Reno quando se ne lasci fermentare a lungo il mosto, e lo si invecchi con speciali cure nelle botti”. Pare dunque certo che Novello (Cuneo) sia il paese natale di questa cultivar, da subito considerata bacca importante visti i paragoni con i Riesling renani e con il Moscato, ma anche difficile da tradursi in vini di qualità per la sua maturazione molto tardiva, una predisposizione alla botrytis e una maturazione dei tralci difficoltosa e variabile. Date tali complicazioni, col Novecento le tracce della Nascetta si fanno più labili fin quasi a scomparire negli anni Ottanta.

Un’uva quasi estinta (fino al 1991)

Ma nel 1991 il professor Armando Gambera si imbatte nell’ultima partita di Nascetta vinificata come Fantini e Gagna avevano descritto. «L’incontro più interessante», racconta Gambera, «l’ebbi a casa del produttore Franco Marengo, di fronte all’ultima bottiglia di una Nascetta 1983. Al naso si percepivano delicati sentore di iris e di fiori d’acacia, mentre in bocca prorompeva con sicurezza il miele. Si trattava di un vino dolce e tranquillo, dal giallo dorato vivo e smagliante, proveniente da un’unica partita di una cinquantina di litri da uve Nascetta vinificate in purezza. Con me c’era Elvio Cogno: entrambi pensammo al Sauternes».

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L’articolo completo è su Civiltà del bere 3/2017. Per continuare a leggere acquista il numero sul nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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