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I vini dell’Isola d’Elba: dai fasti di Napoleone rinascono gli eroi

7 Agosto 2016 Civiltà del bere

Di Stefano Tesi

  Atto primo. Percorrendo con lentezza i tornanti della provinciale a picco sul versante occidentale dell’isola d’Elba, l’autista guarda il fianco selvaggio della montagna e, avvicinando gli occhi al parabrezza per evitare il riflesso, spiega: «Vedi quella boscaglia su in alto, quasi in cima? Ecco lì, sotto la macchia, ci sono ancora i terrazzamenti delle vecchie vigne abbandonate. Arrivavano fino a quota 600 metri. E pensa che questa strada l’hanno fatta nel dopoguerra, prima c’era solo una mulattiera a mezza costa. Vinificavano sul posto e trasportavano i barili direttamente sulle barche ormeggiate nei porticcioli».

Osservando le foto centenarie

Atto secondo. Nel cortile interno della Chiesa di San Niccolò a San Piero in Campo, frutto del dimezzamento quattrocentesco delle navate originarie per trasformare una parte dell’edificio sacro in fortezza, ci sono le riproduzioni di alcune foto centenarie. Osservandole bene, si nota una cosa comune a tutte: hanno sullo sfondo un paesaggio molto diverso e assai più brullo di quello attuale. «Sembra più brullo, ma in realtà era solo coltivato», ammonisce il solito autista, ora trasformatosi in guida. «Tutta l’isola allora era così. Le pianure e le colline, con i campi e le vigne che andavano dalle scogliere no quasi alla cima dei monti».

I vini dell'Isola d'Elba ieri oggi e domani

Atto terzo. In piedi sul bordo di una piccola valle nell’entroterra di Porto Azzurro, con malcelata soddisfazione Antonio Arrighi, proprietario dell’omonima azienda vinicola e olearia, illustra con la mano il frutto del suo lavoro: il reimpianto di tre ettari vitati già inghiottiti dalla boscaglia. «Più in alto ci sarebbero altri due ettari di vigne abbandonate, tutti nella mia proprietà, che ho chiesto di recuperare. Agronomicamente parlando sarebbero perfetti e anche la Forestale sarebbe d’accordo con l’autorizzazione. Ma non so se il Parco (quello nazionale dell’Arcipelago Toscano, sotto cui ricade buona parte del territorio elbano, nda) mi darà mai il permesso», sospira. Ecco, nella sintesi di questi tre episodi abbiamo tutto l’oggi, lo ieri e il domani dell’Elba vinicola.

Un passato glorioso

Ci sono una tradizione e una vocazione antiche, che ebbero durante gli otto mesi di regno di Napoleone (maggio 1814 - febbraio 1815) un impulso tale da produrre risultati socioeconomici concreti fino ad almeno mezzo secolo fa e capaci anche di superare a metà dell’Ottocento la crisi della fillossera: si calcola che ai primi del Novecento l’isola contasse ancora circa 3 mila dei quasi 5 mila ettari di vigneti (un terzo della sua superficie totale) e dei 32 milioni di viti esistenti cinquant’anni prima. C’è poi un paesaggio odierno che sembra selvaggio ma che, invece, di davvero selvaggio non ha pressoché nulla, essendo il (pur suggestivo) frutto dell’inselvatichimento susseguente al progressivo abbandono delle coltivazioni e alla concentrazione dell’economia locale sulla monocoltura del turismo balneare avvenuto dagli anni Sessanta ad oggi.

E un presente promettente

C’è però, ancora, l’esistenza sotto la macchia di un reticolo di vigneti che nel linguaggio odierno si definirebbero “eroici”, molti in totale rovina ma diversi recuperabili, che qualcuno sta coraggiosamente tentando di rimettere in produzione, un po’ per hobby e un po’ con un preciso disegno enologico. C’è anche, fuori da questa quota “eroica”, una crescente presenza di viticoltori interessati a sterzare in chiave qualitativa la produzione sia delle varietà autoctone, come l’Ansonica e l’Aleatico, oggi destinate prevalentemente al mercato di massa, sia di quelle internazionali, il tutto in un’ottica di valorizzazione di un “terroir elbano” coerente alle caratteristiche climatiche e geologiche pressoché uniche dell’isola.

Alcuni fattori opposti

C’è infine, a fianco di tutto ciò, la compresenza di una serie di altri fattori che, per vie in un certo senso opposte, finiscono comunque per condizionare tanto le scelte di politica economica generale che quelle più strettamente vitivinicole: il Parco dell’Arcipelago Toscano da un lato, con le sue articolate competenze vincolistiche e di tutela, un’industria del turismo dall’altro che assorbe sì per intero, o quasi, la produzione di vino dell’isola, ma la orienta anche, pur con le ovvie e dovute eccezioni, verso scelte molto commerciali e prodotti di bassa gamma.  
Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 04/2016. Per continuare il viaggio alla scoperta dei vini dell'Isola d'Elba acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com. Buona lettura!

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