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Quei rompiscatole dei falsi competenti

27 Novembre 2025 Civiltà del bere
Quei rompiscatole dei falsi competenti

In questo articolo del 1983 Guglielmo Solci, famoso enotecaro milanese, mette in fila con ironia le varie tipologie di finti esperti, “rompiscatole esibizionisti”, che pontificano sul vino senza averne le capacità e obbligando gli altri all’ascolto. I consigli per tenersene alla larga

Sono molti i modi per avvicinarsi al vino ed è altrettanto certo che, una volta raggiunta una certa dimestichezza con questo, e se ci si comporta con moderazione, si stabilisce un’amicizia che non tramonta più. Purtroppo a rovinare una simile piacevole affinità interviene quello che si autodefinisce esperto e intenditore. Non si tratta di persone che operano nel settore come produttori, commercianti, sommeliers o altro, ma di un tipo che, il cielo sa perché si è dedicato anima e corpo al vino. Si autodefinisce “un gentiluomo di uno stampo ormai scomparso” che afferma di avere il vino nel sangue.
Del vino sa tutto, ne è il profeta e l’apostolo. Purtroppo è solo un rompiscatole esibizionista. Avrebbe potuto occuparsi di calcio, di extraterrestri, di politica, di finanza, ma questo infernale sputasentenze si è voluto dedicare all’enologia.

Durante le cene casalinghe fra amici

Refrattario a qualsiasi senso di autocritica passa il tempo a disquisire di cose enologiche obbligando gli altri ad ascoltarlo. Può anche darsi che nel suo tragico passato sia stato membro supplente al tavolo della giuria per l’elezione di “Miss Prosecco”, può anche darsi che abbia letto l’opera omnia di Veronelli, resta pur sempre un tipo invadente e dalla scarsa signorilità.
Si può incontrare a tavola, in casa di amici. Buone pietanze, buoni vini. Tutto sembra andare per il meglio, compresa la compagnia. Ad un tratto le vostre orecchie sono urtate da una serie di sciacquii, pernacchiette, rumorose inspirazioni. Provengono da un signore dall’aria ispirata. Tiene in mano un bicchiere. Il mignolo è vezzosamente alzato verso il cielo.
Ha gli occhi socchiusi, li apre improvvisamente per guardare controluce il contenuto del bicchiere. Assaggia. Si sciacqua palato e gola. Deglutisce rumorosamente, a piccoli sorsi. Lascia cadere nel silenzio di tutti uno storico: “Barolo, 1972”.
Si attende dopo di ciò se non un fragoroso applauso almeno un mormorio di stupefatta ammirazione. I commensali si limitano a guardarlo con leggero disgusto.

I saccenti e gli appassionati di vini del contadino

Altro pericoloso personaggio è quello che si ostina a volervi insegnare quello che bisogna mettere nella cantina ideale.
Poi viene l’amante del vino genuino. Per lui da Pasteur in poi l’arte della vinificazione è andata a ramengo “L’industria sta uccidendo il vino”, afferma in continuazione.
Lui beve solo nettari fatti (come usava una volta) da contadini di cui custodisce, gelosamente, il segreto dell’indirizzo.
Vi obbliga a bere i suoi bianchi intorbiditi e i rossi pieni di tannino e guai se non dite, “questo sì che è bere”. Vi toglierebbe il saluto e questo tutto sommato sarebbe un vantaggio non trascurabile, ma per tutta la vita parlerà male di voi.
Con un tipo del genere può anche capitarvi di far colazione al ristorante. Al momento di ordinare il vino, con un secco: “lascia fare a me”, vi impone di tirarvi da parte. Inizia interminabili disquisizioni con il maître o con il sommelier (“questo qui di vino non capisce un accidenti” vi sussurra con aria furba) e passa ordinazioni che non tengono conto né dei vostri gusti né delle vostre disponibilità economiche.

Dalle bottiglie d’antan alla mixology

È un fanatico delle bottiglie di antiquariato. Racconta per la millesima volta di una memorabile bevuta (“era il 3 febbraio 1952, ma me ne ricordo come fosse ieri”) dopo la quale il barman di un elegante pub di Soho gli si prostrò dinnanzi baciandogli le mani, folgorato dalla grande esperienza del cliente. A volte invece il punto preso di mira dall’intenditore sono i cocktail. Non ne capisce niente, ma non rinuncia all’idea di mostrare la competenza che non ha.
Qualcuno ha regalato al vostro conoscente una cassetta di liquori, magari anche una rudimentale attrezzatura per bar.
Voi avete la disgrazia di incontrarlo per caso, quando è tutto euforico; ha da poco terminato la lettura di qualche ricettario ed è smanioso di fare apprezzare a tutti le sue preparazioni. “Stasera – vi dice – ti faccio assaggiare alcuni cocktail di mia invenzione: potrai naturalmente bere qualche vecchia miscela classica. Ma vedrai quel che so fare io”. Se avete anche solo un poco di coraggio e qualche goccia di buon sangue nelle vene, rifiutate decisamente. Ma se vi comportate come dal parrucchiere, al quale dite sempre che la tosatura è perfetta, siete finiti. Il vostro spirito di bevitore vero soffrirà le pene dell’inferno e il vostro palato sarà messo a dura prova. Vecchie amicizie, per motivi come questo, sono andate in briciole.

Quando si cimentano in creazioni personali

Può darsi dunque che il presuntuoso inventore voglia farvi assaggiare qualcosa di suo, di nuovo.
Il risultato sarà deplorevole, ma pazienza. Il guaio più grosso è quando vi promette una miscela classica e vi offre un intruglio imbevibile perché lui ha voluto correggere la vecchia ricetta. Ho assistito a un misfatto del genere in casa di miei amici. Ex amici dovrei dire, perché ho tolto loro il saluto. Tutto cominciò in questo modo. Mi venne offerto un Martini, che è il più classico dei cocktail. Sembra facilissimo e invece la sua preparazione è piena di trabocchetti. L’ospite, invece che nel mixer, cominciò a prepararlo direttamente nel bicchiere. Cosa da far rizzare i capelli. Come se ciò non bastasse il bicchiere era di forma e misura sbagliata. Sembrerà un’esagerazione, ma basta un recipiente inadatto e il cocktail non è più quello.
Si tratta di una bevanda raffinata per raffinati. Continuiamo. L’amico cercò un po’ di vermut dry con il quale si limitò a sciacquare il bicchiere che poi riempì di gin usando una marca olandese, invece di una inglese. Quindi nel gin strizzò una buccia di limone. A questo punto si ricordò che la bevanda non sarebbe stata ghiacciata al punto giusto: immerse nel bicchiere un pezzo di ghiaccio. Ci costrinse a ingurgitare l’ignobile miscuglio. “Così lo preparava Hemingway” ci spiegò strizzando l’occhio. Da quel momento decidemmo di boicottare le opere dello scrittore americano.

Massima attenzione a chi scrive

A questo punto viene da chiedersi come difendersi da simili individui. Purtroppo non esiste difesa preventiva. Il ladro quasi sempre ha la faccia da ladro, il villano da villano e via discorrendo. Il rompiscatole invece non ha quasi mai l’aspetto del rompiscatole. Perciò almeno per la prima volta non resta che sopportarlo. Una volta individuato giratene al largo e che il cielo ve la mandi buona. Cercate comunque di non seguire i suoi consigli. Lui se ne avrà a male, scuoterà con disappunto la sua fronte inutilmente spaziosa, vi compiangerà nel suo intimo e si darà alla ricerca di un’altra vittima.
Questo tipo di saccente enologico da salotto ha, per fortuna, un raggio d’azione limitato dalla portata della loro voce (anche se più che parlare strillano).
Il tipo peggiore è quello che appartiene alla categoria degli scrittori. Purtroppo il potersi servire della carta stampata esalta i lori peggiori difetti che oltre all’esibizionismo sono quelli di voler essere meglio degli altri, diversi da tutti, raffinatissimi conoscitori della materia.

Storie e scoperte decisamente strampalate

Essi non si limitano a “raccontare” il vino, lo inventano addirittura. E naturalmente inventano anche un italiano diverso, una prosa che, a sentir loro sconfina nella poesia. Una nuova lingua, fatta di apostrofi svolazzanti di parole arbitrariamente unite fra loro a formare un illeggibile serpentone. Il loro primo pallino è di scoprire piccole quantità di vini, fatti in piccolissimi cru (guai adoperare la parola vigna) con etichette fatte a mano, e numerate. Cento, duecento bottiglie all’anno nella quali essi riescono a scoprire tesori enologici. Assaggiando un bicchiere qualsiasi di vino essi riescono a trovarvi: colore giallo ambrato scuro, oppure color porpora cardinalizia tendente al granato, o carta tendente al verdolino.
Si può essere certi che vi scopriranno di volta in volta: bouquet di zerga, sentori di fichi, nocciole e noci. Altre volte sentori di viola mammola misti a celluloide e geranio. Non meravigliatevi poi se la stoffa può far coda di pavone.

Come difendersi se si è dei neofiti

Dotati di papille gustative della migliore e più raffinata specie, di olfatto che permette loro, assaggiando un sorso, di dire quale dopobarba è solito usare l’imbottigliatore, con le loro meravigliose sentenze creano situazioni d’angoscia in chi vorrebbe meglio conoscere il vino. I poveri neofiti finiscono con il pensare di essere negati all’arte enologica. Si tratta di persone che vorrebbero bersi in pace una buona bottiglia, dire semplicemente mi piace o non mi piace e trovare in ciò che leggono una guida, un orientamento per i loro gusti. Invece devono amaramente rendersi conto di avere una lingua e un palato fatti di amianto, un olfatto da raffreddore cronico. Non riuscendo a scoprire in un vino il profumo di ghiande di rovere, di fragola di sottobosco, con lieve sentore di mirtillo, o il gusto della pesca amara, o la venatura di zagara, e il gusto di silice, o quello di goudron, pensano se non sia il caso per loro, prima di cominciare a bere, di seguire un corso di botanica, di iscriversi alla scuola di profumeria di Grasse, di farsi ricontrollare la vista. Alcuni più audaci alzano le spalle e continuano a bere così come hanno sempre fatto: altri, disperati passano alle bibite gassate.

Guglielmo Solci

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