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Storia (e la prima verticale) del Carménère San Leonardo

Storia (e la prima verticale) del Carménère San Leonardo

Mai sino ad oggi erano state messe in fila diverse annate (due in Magnum) di un nuovo classico, che nasce prima da un equivoco ampelografico e poi da un piccolo atto di ribellione. Da sempre “sale” del celebre San Leonardo, dal 2007 questo vitigno ha preso anche una strada autonoma

Quella del Carménère è una storia di scambi d’identità e sfide generazionali. Ha tutti gli ingredienti per un thriller enologico il cui epilogo brilla rubino nel calice, con profumo di fiori, frutti rossi e il suo caratteristico tocco erbaceo. Parte della sua storia ce la racconta, nella sua abitazione milanese, Anselmo Guerrieri Gonzaga, ovvero colui che in famiglia si è impegnato, partendo da un innocente sotterfugio, ad accendere i riflettori su questo vino. E il tempo gli sta dando ragione, dato che di Carménère, da qualche anno, se ne parla con interesse, in Italia, grazie ad alcune etichette fortunate, come quella dei Guerrieri Gonzaga, ovvero Tenuta San Leonardo.

Alle origini della storia

L’intreccio si sviluppa proprio dall’ammiraglia del casato, quel rosso elegante e longevo che si chiama semplicemente San Leonardo, vino che ogni anno conquista tutti i premi della critica. «Il sale del San Leonardo», suggerisce Guerrieri Gonzaga, «è sempre stato il Carménère». Solo che fino al 2010 si chiamava Cabernet Franc. È un caso raro quindi, di sale che diventa la portata principale, ma funziona, nel suo equilibrio gustativo e nella sua complessità, che lo fa assomigliare talvolta più al Cabernet Sauvignon talvolta più al Merlot.

Carménère San Leonardo
Il marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga durante la degustazione verticale

L’ora della verità

Questo, dunque, è lo scambio di identità: tra le due guerre mondiali in regione (e in tutto il cosiddetto Triveneto) arrivò tanto Carménère, sotto il nome di Cabernet Franc, forse per colpa di qualche vivaista approssimativo: i contadini ci credono, e non se ne preoccupano, perché il vino gli assomiglia, con il plus di rese molto alte, che all’epoca erano il primo parametro da considerare. Un grappolo “festoso”, lo definisce Anselmo. Peccato che sia spargolo, e il Cabernet non lo è, la foglia sia diversa, gli acini enormi, e quelli del Cabernet piccini, le rese superiori. Carlo Guerrieri Gonzaga, padre di Anselmo, si insospettisce e chiama due dei nomi più illustri a studiare il fenomeno: Giacomo Tachis e il prof. Attilio Scienza. Parallelamente, secondo altri cronisti, l’altrettanto illustre prof. Mario Fregoni, fu chiamato dalla famiglia Zanella in Franciacorta, e seguì la stessa pista. Ci mettono poco a capire che si tratta di un altro vitigno, il Carménère appunto. Solo che in viticoltura uno scambio d’identità così clamoroso non s’era mai visto, e non è facile da gestire, a maggior ragione se questo non riguarda un giardino a Villa Gresti, la dimora trentina dei Guerrieri Gonzaga, ma mezzo nord-est d’Italia, tutti convinti di vinificare Cabernet Franc.

Le scelte strategiche in vigna

A partire da un enorme problema: i disciplinari di produzione non lo contemplano, non lo citano, di fatto vietandolo. Solo nel 2010, finalmente, nel lignaggio del San Leonardo i marchesi Guerrieri Gonzaga possono azzardare di scrivere Carménère. Nel frattempo, lo trattano come tale, per esaltarne le peculiarità. Quindi, a partire dalle forme di allevamento, passano dal cordone al Guyot, con un cordone lunghissimo (1,2 metri) perché questo vitigno necessita di molte foglie. Oggi sono tornati addirittura alla pergola trentina doppia e a 4 metri. Si adotta anche una leggera concentrazione, quindi competizione, radicale. E da sei anni, per mantenere un clone certo, adatto alla situazione di San Leonardo, eseguono una selezione massale, cioè riproduzione dalle proprie viti, da una vigna di 80-85 anni.

Un piccolo atto di ribellione

Questo per quanto riguarda l’equivoco. E il sotterfugio? È un’innocente storia di divergenze generazionali: nel 2007 Anselmo decide di sottrarre una botte al San Leonardo, per lasciare esprimere il vino da solista. Il padre non era convinto. «Avevamo appena vendemmiato un Carménère di eccezionale qualità e, anche con la complicità del nostro direttore Luigino Tinelli, lo abbiamo vinificato e imbottigliato in purezza. 1.724 Magnum, numero simbolico che richiama l’anno di inizio dell’attività vinicola della tenuta», ricorda Anselmo. Non ci è voluto molto che il padre Carlo riconoscesse l’eccezionalità del risultato, di un vino che sta diventando rapidamente un nuovo classico.

In cantina

La vinificazione tende ad esaltare la naturale complessità della varietà. Dopo la raccolta a piena maturazione, tra inizio e metà ottobre, le uve sono vinificate in vasche di cemento da 50 a 80 ettolitri, dove si svolge la fermentazione spontanea con lieviti indigeni per 12-14 giorni. Il vino matura poi due anni per il 70% in barriques di rovere francese di primo, secondo e terzo passaggio e per il 30% in tonneaux e affina almeno altri due anni in bottiglia.
Quella organizzata a casa Guerrieri Gonzaga è stata la prima verticale dedicata al Carménère, sette annate dall’archivio di famiglia per approfondire l’evoluzione di un vino raro, che racconta il dialogo profondo tra vitigno, territorio e visione familiare.

La verticale

2020***

Annata anomala, soave (calda, ma con molta pioggia) e un tenore alcolico nel vino molto limitato: 12.03% vol. Il 30% delle uve deriva ancora dall’allevamento a Guyot, ma in futuro sarà solo pergola. Profuma di frutti rossi (fragola e lampone), viola, con il caratteristico tocco erbaceo. Bocca fresca, con finale di cioccolato e liquirizia. Il tannino è delicato e chiude con una leggera astringenza. Il vino mostra allungo, tensione con una buona concentrazione del frutto.

2019*****

Il frutto è più maturo, rispetto alla 2020. Intensamente aromatico con note di spezie dolci. L’ingresso in bocca è dolce, profondo, speziato, fresco e succoso. Eccellente, con la sua personalità: in casa evitano vini troppo “laccati”, ogni tanto si affaccia una nota verde, anche in annate perfette come questa, con un inverno freddo, acqua, caldo e luce.

2018****

A un inverno freddo, è seguita pioggia abbondante in primavera e poi una bella estate. L’espressione aromatica denota un accenno di tostatura, frutto maturo, con il tipico tocco erbaceo, mentolato. Fresco e teso in bocca, di menta e cioccolato, con persistenza.

2016***

La particolarità dell’annata sono state, a settembre, le notevoli escursioni termiche, giunte a 21 gradi di differenza tra il giorno e la notte. Espressione aromatica intensa di erbe officinali, menta, mirto e ribes nero. Fresco in bocca, con un tocco di astringenza, lunghezza, caratterizzato da un medio palato meno incisivo rispetto agli altri assaggi.

2015*****

Ottima annata, potente e gentile. Al naso colpisce una nota gessosa, erbe aromatiche fini e frutti maturi, con la caratteristica mentolata che suggerisce freschezza. Al palato: concentrazione, dolcezza, lunghezza. Finale goloso, generalmente più maturo rispetto alla 2016.

2010 (in Magnum)***

Il tempo passa, per un’annata buona, ma normale. Al naso si scorgono grafite, more, spezie, tabacco con sentori piacevolmenti ferrosi e di tabacco. In bocca domina la dimensione erbacea.

2007 (in Magnum)****

Intanto, l’emozione della prima annata, quella del “sotterfugio”. Al netto della suggestione è elegante, mentolato, fresco e maturo insieme, con equilibrio. In bocca: frutto rosso maturo e cioccolato, con tensione gustativa che accompagna la beva, una leggera e piacevole astringenza finale. Molto elegante, equilibrato, ma non completo di quella pienezza di frutto che è propria della 2015.

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