In Italia In Italia Aldo Fiordelli

Da quant’è che non assaggiate un Chianti Classico?

Da quant’è che non assaggiate un Chianti Classico?

La scena ricorrente tra gli enotecari di Milano è più o meno questa. Un signore o una signora che entrano a chiedere un rosso toscano; il vinaio propone un Chianti Classico e l’interessato risponde: no grazie, il Chianti non mi piace. Ma da quand’è che non assaggiate un Chianti Classico?

I giovani l’hanno già capito, ma la vecchia generazione fa fatica a scrollarsi di dosso una certa memoria stantia di fiasco, di vino asprigno e asciutto di una volta. Non del tutto a torto, bisogna ammetterlo. Negli anni Ottanta il Chianti Classico viveva annate più fredde e i produttori cercavano rese in vigna sempre più alte. Il risultato produceva vini spesso aciduli e magri. Inoltre bisogna pure ammettere che qualcuno – ancora? Sveglia! – fatica a distinguere il più semplice Chianti che si trova al supermercato col Chianti Classico che viene dalla regione del Chianti, ha sull’etichetta il Gallo nero e si trova perlopiù in enoteche e ristoranti.

Chianti Classico, un rapporto qualità-prezzo quasi imbattibile

La situazione di oggi è completamente diversa, come ha cercato di dimostrare una degustazione all’hub di Identità golose la scorsa settimana, appunto a Milano, alla presenza di giornalisti, enotecari, ristoratori e sommelier milanesi e non solo. Anzitutto il Chianti Classico è uno dei vini più antichi della Toscana. Le aziende sono mature culturalmente, con uno spessore tecnico agronomico ed enologico che non si trova altrove. L’età media delle vigne è più alta rispetto ad altre denominazioni grazie appunto a una storia antica di vigne vocate. Ma forse pochi sanno che la regione del Chianti dove si produce il Gallo Nero tra Firenze e Siena, conta di un clima più continentale rispetto ad altre zone della Toscana, dove non dappertutto arriva l’influenza mediterranea . Con i cambiamenti climatici, quel carattere asprigno si sta trasformando in un frutto fresco e teso, che non stanca mai. A ciò si aggiungano le ambizioni dei produttori di posizionare più in alto i propri vini; questo significa che oggi, sul mercato, il Chianti Classico è una delle migliori denominazioni per rapporto qualità prezzo.

Giovanni Manetti, presidente del Consorzio del Gallo Nero

Sempre più Sangiovese e cresce il biologico

«Ci sono altri trend positivi», ha aggiunto il presidente del Consorzio del Gallo Nero, Giovanni Manetti, «a cominciare ad esempio dall’aumento di Sangiovese, rispetto alle varietà internazionali. Aumenta cioè l’impianto dell’uva regina della denominazione. Inoltre si va verso sostenibilità e biologico. La denominazione è al 40% di vini biologici certificati». Una percentuale enorme se si considera che il Chianti Classico occupa una regione di 70mila ettari, dei quali appena 7.200 vitati. Le vigne rappresentano solo il 15% del territorio che mantiene, a differenza di altri anche molto noti, un’importante biodiversità col 65% di bosco e il 15% di ulivo. L’appuntamento meneghino del Gallo Nero, però, è servito anche a tracciare le differenze fra i vini all’interno di un territorio così grande.

Otto comuni per l’eccellenza

Sempre il presidente Giovanni Manetti ha dichiarato che in qualche mese ormai sarà pronto il progetto delle menzioni geografiche. Sulla Gran Selezione in pratica, il vino al vertice della piramide qualitativa del Chianti Classico in vigore dal 2014, che oggi rappresenta il 6% della produzione – ma secondo una fonte sarebbe già salita all’8% – si potranno inserire i comuni di provenienza dei singoli vini. Per capire dunque il Chianti Classico bisogna partire dal macigno del Chianti, ovvero dalla catena collinare che percorre tutto il versante orientale della regione da Firenze a Siena e che comprende i comuni di Greve, Radda e Gaiole. Qui il Gallo Nero cresce su terreni calcarei e scistosi acquisendo complessità e concentrazione. Tagliata poi dai fiumi Pesa a Ovest, Greve al centro e Arbia a Sud, la regione incontra i comuni di San Casciano a Nord, Tavernelle, San Donato e Barberino Val’Elsa al Centro e Castelnuovo Berardenga a Sud dove il terreno cambia, diventa più argilloso e i vini assumono un carattere potente.

La degustazione in otto assaggi, da San Casciano a Castelnuovo Berardenga

A descrivere bene queste differenza c’erano infatti otto vini dell’annata 2016, una delle migliori degli ultimi anni. Lo Zac (biologico) del Principe Corsini da San Casciano si distingueva per finezza e carattere floreale. Greve rappresentata da Vicchiomaggio mostrava potenza e complessità. Qui bisognerebbe fare una parentesi e sottolineare come Lamole, benché piccola, non possa non essere considerata come menzione a sé stante per via del suo carattere distintivo. Le Filigare (biologico) rappresentavano San Donato con un carattere fruttato e carnoso, di bella struttura. Castelvecchi ha portato in alto la bandiera di Radda con un vino sapido e complesso, dai tannini levigati ed evidente freschezza, tipico del comune. Gaiole era rappresentata e non poteva essere diversamente, dal Castello di Brolio del Barone Francesco Ricasoli. La sua Gran Selezione è un vino col tipico sentore di nocciolo di ciliegia, cuoio e note di legna affumicata in profondità, con tannini vellutati, ma troppo estratti e grande finezza. Così come Castellina è regno della famiglia Mazzei, dove alle classiche note del Sangiovese facevano da sfondo sentori di bergamotto e vaniglia. Potente, scuro e concentrato il Tenuta di Arceno, da Castelnuovo Berardenga dove il Chianti Classico quasi brunelleggia. Infine, ultimo ma non ultimo, un vino della conca d’oro di Panzano, Fontodi, complesso con note di pepe, cuoio, un frutto pieno di polpa e tannini masticabili e dolci. Uno spaccato emozionante con tutte le sfumature del Gallo Nero, da scoprire nell’immediato e alla prova del tempo.

Foto di apertura: vigne di Fontodi

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© Riproduzione riservata - 05/11/2019

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