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Vistorta: terroir alla francese nelle Grave

15 Aprile 2010 Civiltà del bere
Il conte Brandino Brandolini d’Adda, formatosi nelle migliori scuole enologiche di Bordeaux, ha le idee chiare sullo stile che devono avere i suoi vini. Il segreto dell’eleganza dell’etichetta di punta della tenuta di Sacile (Pordenone), il Merlot Vistorta, e della sua capacità di sfidare con agilità gli anni sta principalmente nel terreno, formato da argille piuttosto pesanti e da calcare: una composizione analoga a quella che si ritrova nelle zone bordolesi ove il vitigno sa dare il meglio di sé. Brandino, ci racconti del suo Vistorta: «Siamo un’azienda che ha scelto, secondo l’approccio francese, di puntare su un unico grande vino. Sulla base di questo, a partire dalla vendemmia 1996 abbiamo deciso di accantonare una parte della produzione, almeno 2-3 mila bottiglie, da rivendere in tempi successivi». Quali i suoi segreti e le caratteristiche? «Si tratta di un vino giocato sul terroir, frutto di agricoltura biologica e di una viticoltura direi estrema; facciamo molta attenzione alla potatura e ai diradamenti. Da questo mix di fattori, otteniamo un vino dove predomina l’eleganza e la finezza, ma al contempo la capacità di evolvere molto a lungo nel tempo». Ci racconti delle annate che più la stanno emozionando. «Tenga presente che è dal millesimo del 2000 che il Vistorta è arrivato alla sua definitiva impostazione, i 10 anni precedenti ci sono serviti per affinare e mettere a punto questo progetto. La 1997, in cui figurava ancora un tocco di Cabernet, ci ha regalato un prodotto austero, ma fresco e delicato al contempo. La 1999 era all’inizio un po’ dura, ma dimostrava grande longevità, e in effetti col tempo s’è fatta elegantissima. Il 2000, una vendemmia calda, ha generato un vino maturo e colorato. Il 2004 è un altro Vistorta longevo, ricco di stoffa, ma ancora imberbe. Il 2005 è oggi austero, ma promette assai bene. L’annata del cuore? Sempre l’ultima! E la 2009 ha tutti i crismi dell’eccellenza assoluta».

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