Non tutte le eccellenze d’Italia quest’anno trionfano all’asta
Una riflessione di Cesare Pillon sul peso che l’emergenza sanitaria che viviamo ha avuto sui vini italiani nelle aste internazionali, che per lungo tempo saranno solo online. Abbiamo analizzato l’andamento delle quotazioni dei vini italiani e francesi nei primi sette mesi del 2020.
Non era mai successo finora che questa rubrica, che all’inizio del 2020 ha proposto una riflessione sulle aste dei vini, alla fine dell’anno si occupasse una seconda volta dello stesso tema.
Lo scenario della prima puntata
Il fatto è che la prima puntata è arrivata ai lettori quando l’Italia affrontava la pandemia di coronavirus e per difendersi dal contagio si è posta in quarantena, isolandosi e adottando tutte le misure per impedire gli assembramenti, sconvolgendo così il suo storico rapporto con il vino, cui aveva sempre riconosciuto la capacità di favorire gli assembramenti conviviali intorno a un tavolo, considerandola un merito.
Fino al vaccino, le aste non saranno in presenza
Ma poiché quella prima puntata segnalava che “alle aste frana Bordeaux e si afferma il made in Italy”, è stato inevitabile chiedersi: possibile che il congelamento dei rapporti sociali provocato dal lockdown non abbia modificato, se non capovolto, quelle linee di tendenza? Ecco il motivo di questa seconda indagine. Che prende il via da una constatazione: fino a quando non avremo a disposizione un vaccino contro il Covid 19, le aste non potranno più svolgersi nel modo tradizionale, cioè entro sale gremite di collezionisti, investitori, enotecari, ristoratori e appassionati.
La prima asta 2020 di Christie’s è stata solo online
L’inevitabile limitazione delle presenze accelererà due processi evolutivi che erano già in corso: la partecipazione tramite telefono all’asta classica e la moltiplicazione delle vendite all’incanto on line. La sua prima asta di quest’anno Christie’s l’ha infatti organizzata sfruttando la possibilità di rivolgersi a una moltitudine di partecipanti tramite Internet perché era già vivo il timore del contagio. Timore giustificato, visto che l’asta si è svolta dal 24 marzo al 7 aprile, timore che ha fatto aumentare del +20% il numero dei partecipanti via web.
Il calo del valore di Pétrus
L’asta, seguita da 31 Paesi del mondo, si è conclusa con un incasso di 1,1 milioni di dollari, la migliore performance on line di Christie’s. Il lotto che ha ottenuto la quotazione più alta era composto da 12 bottiglie di Pétrus 1990, aggiudicate a 40 mila dollari. Ogni bottiglia è stata pagata perciò 3.078,40 dollari. Sono tanti? Certo, ma nel 2019, per comprare quella bottiglia, di dollari bisognava sborsarne 5.279,81: in un anno il Pétrus 1990 ha perso cioè il -42% del proprio valore.
Buona performance del Sassicaia
Si direbbe quindi che Bordeaux continui a franare, ma succede perché il mercato è depresso dal lockdown o perché il vento del ribasso continua a soffiare sui sopravvalutati premier cru del Bordolese? Per saperlo basta verificare se all’asta on line di Christie’s il made in Italy ha continuato ad affermarsi. E la risposta è sì: un lotto di 12 bottiglie di Sassicaia 1997 ha spuntato un prezzo di 337,21 euro a bottiglia, cioè il 4% in più che nel 2019.
Cede terreno il Monfortino
Sono orientamenti del mercato che le aste dei primi sette mesi hanno confermato nella sostanza: le quotazioni dei Pétrus sono scese complessivamente del -33%, quelle dei Sassicaia sono cresciute del +5%. Ma questo non significa che il ribasso abbia colpito tutti i vini bordolesi né che il rialzo abbia premiato tutti gli italiani: in controtendenza, le quotazioni di Chateau d’Yquem, per esempio, sono più alte del +7% rispetto all’anno scorso mentre quelle del Barolo hanno perso il -26% ed è preoccupante che a trascinarle in basso sia stato soprattutto il Monfortino, che è crollato quasi del -37% rispetto al 2019 (quand’era invece cresciuto del +7%).
Ma perché l’Italia si è afferma alle aste?
In questo turbine di cifre vale la pena di notare innanzitutto che il prezzo del Sassicaia, pur essendo aumentato, è un decimo di quello del Pétrus, ch’è diminuito. E allora c’è da chiedersi: l’affermazione del made in Italy alle aste in questi anni è stata provocata da un miglioramento della qualità del vino o è avvenuta perché in tempo di crisi si preferisce il prodotto più a buon mercato? In tal caso, i prezzi in crescita dei vini italiani sarebbero l’altra faccia di quelli in discesa dei vini di Bordeaux, resi troppo costosi dalla speculazione.
La difficoltà di trovare e distribuire bottiglie
Si è tentati di spiegare allo stesso modo anche l’improvviso calo di prezzo dei Monfortino, ma c’è un altro elemento da tenere presente: le misure restrittive per contrastare la diffusione del coronavirus adottate in tutti i Paesi hanno reso più difficile individuare le bottiglie da mettere all’asta e trasportarle dove questa si svolge, cosicché ad avere la possibilità di porre in vendita qualche bottiglia di Monfortino sono state quest’anno quasi soltanto le Case d’asta italiane. Solo per due millesimi la quotazione 2020 è stata determinata all’estero. E sono proprio le due annate, il 1988 e il 2000, il cui prezzo è aumentato.
Tag: aste, luoghi non comuniLa Terza Pagina è dedicata alla cultura del vino e ospita opinioni su temi di ampio respiro. Questa settimana vi presentiamo in anteprima la rubrica Luoghi non comuni di Cesare Pillon in uscita su Civiltà del bere 4/2020 (ottobre-novembre-dicembre) che propone una riflessione sulle aste alla luce del Covid-19.
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© Riproduzione riservata - 06/11/2020