Unità mediterranea, sogno da realizzare
Dopo aver aperto una lunga discussione su un tema di grande attualità, ovvero la proposta di equiparare biodinamica al biologico, cambiamo argomento e riprendiamo un’idea sviluppata alcuni anni fa in una monografia di Civiltà del bere dedicata al Mediterraneo (scarica qui).
Si parla spesso di intolleranza, di identità e scambi culturali, anche nel mondo del vino. In questa dotta riflessione l’antropologo Fabio Dei, sempre attuale, rispondeva su nostra sollecitazione al quesito:
Esiste un’unità culturale del Mediterraneo?
La storia ci suggerisce di no. Il nostro mare è sempre stato più arena di conflitti, fratture e disuguaglianze che non d’unità. Gli europei si sono a lungo definiti tramite categorie che si contrappongono alle altre sponde del Mediterraneo; cristiani e islamici, occidentali e orientali, moderni e tradizionali, colonizzatori e colonizzati. E anche oggi, l’immaginario globale dello “scontro di civiltà” traccia il confine in mezzo al mare. Ce lo ricorda ogni giorno l’umanità dolente e “clandestina” degli sbarchi e dei naufragi sugli scogli di Lampedusa.
Se però guardiamo alle strutture profonde e di lunga durata, più che agli eventi e alle ideologie, qualche tratto unitario s’intravede. Gli studi di etnologia e antropologia, a partire dalla seconda metà del Novecento, hanno tentato un approccio comparativo alle diverse aree del Mediterraneo, in cerca di elementi comuni.
Elementi di unione, non sempre positivi
Provenienti per lo più da Nord Europa e Stati Uniti, gli antropologi hanno evidenziato nel Mediterraneo alcune caratteristiche sostanzialmente negative, per contrasto rispetto alla loro idea di “modernità”.
Un’organizzazione politica tradizionale e resistente alla penetrazione dello stato moderno, basata sull’istituzione del patronage: un rapporto di “protezione” e sfruttamento tra comunità contadine e “patroni” ricchi e influenti, che talvolta evolve in fenomeni di tipo mafioso.
Una prevalenza dei legami familiari (nel senso di una famiglia allargata a più gradi di parentela) rispetto a quelli della società civile, con la conseguente debolezza dei valori civici e di un’etica comunitaria (il fenomeno noto nelle scienze politiche come “familismo amorale”).
Un sistema di valori basato sui temi dell’onore e della vergogna. L’onore, o reputazione, è una qualità morale attribuita ai maschi adulti della comunità; è un giudizio globale e non formalizzato sulla capacità di “esser uomini”, di comportarsi in modo socialmente adeguato. E in specie di esercitare il controllo sul comportamento pubblico e sessuale delle donne della propria famiglia. La vergogna deriva dalla riprovazione per le infrazioni al codice morale. Gli antropologi hanno considerato questo sistema come un meccanismo di controllo e coesione sociale tipico di comunità egalitarie, dove la differenziazione economica o culturale è sanzionata (sarebbe dunque un meccanismo che si contrappone al cambiamento).
Un ulteriore tratto culturale tipico di molte società mediterranee è una religione di tipo “immanente”, cioè legata a problemi mondani. Sia in ambito cristiano sia islamico, infatti, alla trascendenza delle religioni ufficiali si affiancano forme di religiosità popolare legate al culto dei santi, con forti connotazioni magiche e miracolistiche.
Cambio di prospettiva
Queste analisi, per quanto non infondate, restituiscono una realtà assai parziale della cultura mediterranea; non da ultimo perché gli antropologi hanno privilegiato lo studio di piccole e isolate comunità rurali, più che delle realtà urbane, crocevia di flussi economici, culturali e umani molto diversi. Più di recente, a quest’immagine di un Mediterraneo chiuso e arretrato si sono opposti alcuni studiosi, come il sociologo Franco Cassano, sostenitori della nozione di “pensiero meridiano”.
Il valore della differenza che si fa condivisione
L’unità del nostro mare consisterebbe, a loro parere, proprio nel suo essere luogo di incrocio delle differenze, dunque di compromesso, condivisione e ibridazione fra culture; con lo sviluppo di una “ragionevolezza” che si contrappone al fondamentalismo etnico e culturale. Come scrive lo stesso Cassano, “l’unità fisica del Mediterraneo non è un’invenzione turistica, ma un ancoraggio comune contro le divisioni, l’ancoraggio fisico e materiale a una grande patria comune, una radice di pietra e di mare più forte delle diversità delle rive, di quella deriva dei continenti, delle religioni e degli orgogli etnici da cui sorge incessantemente la tentazione integralista”. Questa visione pare più un auspicio che una realtà storica (purtroppo il Mediterraneo non è stato affatto esente da fondamentalismi e violenze etniche di tutti i tipi). Qui lo stereotipo dell’arretratezza è volto provocatoriamente in positivo; ma si tratta pur sempre di una raffigurazione contrastiva rispetto a una certa idea di modernità o di “Nord del mondo”.
Il rischio dello stereotipo
In realtà, ogni tentativo di formulare una “essenza” del Mediterraneo finisce per imbattersi in pregiudizi e semplificazioni a-storiche. Come ha affermato lo scrittore croato Predrag Matvejević nel suo Breviario Mediterraneo, “tutto è stato detto su questo «mare primario» diventato uno stretto di mare, sulla sua unità e la sua divisione, sulla sua omogeneità e la sua disparità. Da molto tempo sappiamo che non è una “realtà a sé stante” e neppure «una costante»; l’insieme mediterraneo è composto da molti sotto-insiemi che sfidano o rifiutano le idee unificatrici”. L’idea stessa di un’antica unità originaria è più mito che realtà storica. Eppure, anche per lui non è impossibile “ritrovare e riannodare vecchie funi sommerse, strappate dall’intolleranza o semplicemente dall’ignoranza”.
La lettura del rapporto uomo-natura
Fernand Braudel, il grande storico francese che ha posto il Mediterraneo al centro della sua opera, lo trattava come un “sistema” articolato su comuni basi ecologiche. “I medesimi climi, i medesimi ritmi stagionali, la medesima vegetazione e i medesimi colori, […] i medesimi paesaggi”. Braudel alludeva a un rapporto uomo-natura scandito dalle cadenze e dal tempo ciclico dell’agricoltura. Una cultura basilare e popolare, che resiste al di là degli eventi, delle religioni e delle forme di civilizzazione che divideranno queste regioni. Una base, si potrebbe forse pensare, che sopravvive in modo sotterraneo anche ai radicali mutamenti della modernizzazione.
Un progetto culturale
È possibile e affascinante mettersi in cerca delle tracce – o delle “vecchie funi sommerse” di Matvejevic. Ma si tratterebbe più di una ricostruzione che di una riscoperta. Un’unità culturale mediterranea può esistere semmai come progetto: qualcosa che si proietta verso il futuro, non che si disseppellisce dal passato.
Foto di apertura: il tempio di Poseidone a Capo Sunio, vicino ad Atene in Grecia
Tag: La Terza Pagina, MediterraneoQuesto articolo fa parte de La Terza Pagina, newsletter a cura di Alessandro Torcoli dedicata alla cultura del vino. Ogni settimana ospita opinioni di uno o più esperti su temi di ampio respiro o d’attualità. L’obiettivo è stimolare il confronto: anche tu puoi prendere parte al dibattito, scrivendoci le tue riflessioni qui+
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© Riproduzione riservata - 25/06/2021