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Com’è cambiato (e continua a cambiare) l’atlante del vino

Com’è cambiato (e continua a cambiare) l’atlante del vino

Lo scenario dell’enologia mondiale si sta ampliando. Lo fa allontanandosi progressivamente dalla linea dell’Equatore, tanto da aver raggiunto Paesi fino a pochi decenni fa esclusi dalla produzione vitivinicola sia per ragioni climatiche, sia culturali.

L’articolo fa parte della Monografia Diversità e Inclusione
(Civiltà del bere 1/2022)

Il mestiere del viticoltore richiede una profonda sensibilità nel percepire i cambiamenti che riflettono un settore in continua evoluzione. Non è un caso che i produttori si siano accorti dei mutamenti climatici molto tempo prima che questi iniziassero a condizionare anche le nostre vite. Molti critici del vino hanno registrato tali trasformazioni: su tutti, a partire dal 1971, lo ha fatto Hugh Johnson con l’Atlante mondiale dei vini. Anche grazie alla più recente collaborazione della Master of Wine Jancis Robinson, il volume è giunto all’ottava edizione (2019) e aiuta a comprendere come la mappa del vino sia di anno in anno profondamente cambiata in base a ragioni sociali, economiche, tecnologiche, ma soprattutto ambientali.

L’aumento delle aree vitivinicole

Non solo: nell’ultimo ventennio i cambiamenti sono così veloci da farci assistere a un continuo emergere di nuove e diverse aree vitivinicole. Dalla Scandinavia alla Patagonia e dall’Inghilterra alla Cina passando per il Vecchio e il Nuovo Mondo, con i giusti accorgimenti ora si può produrre buon vino ovunque, o quasi. E dove non è possibile salire (o scendere) di latitudine, ci si arrampica sulle montagne, scommettendo sull’altitudine e andando alla ricerca di nuove sfide.

Fattori sociali e climatici

Il tema universale del climate change fa la sua comparsa sull’Atlante a partire dalla quinta edizione (2001); ma è dalla sesta (2007) che iniziano a emergere Paesi come Inghilterra, Cina e Giappone. Prima di allora non si sarebbe potuto lontanamente immaginare che queste aree potessero diventare famose per il loro vino.
All’inizio del Nuovo millennio, però, l’espansione del vigneto era ancora ricondotta a “fattori sociali più che climatologici”, come si legge nell’introduzione a cura della MW inglese. Appena sei anni più tardi, con la pubblicazione della settima edizione (2013), risulta chiaro come la fotografia scattata da Johnson e Robinson sia in continuo movimento, tanto da sembrare sfocata.
Nel frattempo, a mano a mano che la mappa del vino si allarga, il legame tra vitigno e territorio si fa più stretto e intenso. “Il vino è geografia racchiusa in bottiglia”, scrive Jancis Robinson. E conclude: “Il mondo del vino è un villaggio che rispecchia nel dettaglio gli effetti del cambiamento climatico”.

Il Nord Europa

In appena mezzo secolo i vigneti si sono estesi in ogni direzione possibile. In Europa, procedendo verso nord, hanno dapprima incontrato l’Inghilterra. Sui terreni gessosi della costa meridionale dell’isola la produzione di spumanti caratterizzati da spiccata freschezza si è così consolidata da poter competere anche con lo Champagne. I climatologi ipotizzano che nel giro di pochi anni le temperature inglesi saranno simili a quelle finora registrate nella regione francese dove, invece, si stanno concentrando fenomeni atmosferici sempre più intensi e imprevedibili.
Secondo gli attuali modelli climatici, anche la fredda e umida Irlanda potrebbe produrre vino di qualità entro il 2050; è lo stesso anno in cui era stato previsto il primo raccolto dei vignaioli scandinavi. Qui, però, la vite ha già cominciato a prosperare non solo a causa dell’aumento delle temperature, ma anche grazie a vitigni resistenti, quali il bianco Solaris e il rosso Rondo. In Norvegia, per esempio, le vigne danno ottimi frutti in prossimità dei fiordi, dove sono protette dal rischio di gelate primaverili o dalle forti piogge autunnali. La Scandinavia non ha ancora trovato posto nell’Atlante mondiale dei vini, ma sta guadagnando in fretta le sue pagine per la prossima edizione.

In Etiopia si coltiva la vite oltre i 1.000 metri © E. Hathaway – Unsplash

Il Sud e le altre frontiere

Le condizioni atmosferiche estreme rendono più difficile l’espansione della vite verso Sud, ma i pionieri e gli sperimentatori non mancano e nei prossimi decenni si potranno trovare vigne in posti remoti e un tempo inospitali. In Patagonia, nelle Ande meridionali sulla linea di confine tra Cile e Argentina, tra gelate e forti venti, le sfide per la viticoltura sono immense, ma il Pinot nero sta trovando un nuovo terroir in cui potersi esprimere.
Un’altra area vinicola emergente in totale controtendenza è l’Etiopia. Il Paese africano si trova poco a nord dell’Equatore e vanta una storia vinicola piuttosto antica finora sconosciuta. Qui la condizione essenziale è l’altitudine; con vigneti ben oltre i 1.000 m sul livello del mare, i produttori etiopi – che tra le tante difficoltà devono difendere l’uva anche da animali esotici come gli ippopotami – stanno contribuendo ad aumentare la diversità enologica nel mondo.

La crescita dell’Asia

Ma tra tutti i continenti, l’Asia cresce più velocemente. Grazie a cambiamenti prima di tutto culturali, ma anche climatici e produttivi, la Cina è già entrata nella classifica dei primi produttori di vino al mondo. La regione più promettente si trova a nord e si chiama Ningxia; vi si coltivano soprattutto varietà internazionali e i suoi produttori sono pronti a rivaleggiare con Bordeaux.
Anche il Giappone sta dimostrando di poter produrre vini di ottima qualità, in particolare grazie al vitigno Koshu. Come altrove, però, la produzione si sta spostando nella parte più fredda e settentrionale, che qui è l’isola di Hokkaido. L’area è meno soggetta alla stagione delle piogge e ai tifoni e, proprio come la diametralmente opposta Patagonia, sembra oggi un luogo ideale per il Pinot nero.
Da una parte all’altra della Terra, le aree vinicole più inaspettate sono testimoni di un ribaltamento epocale e danno un assaggio del futuro dell’enologia mondiale, sempre alla ricerca di nuove frontiere.

Foto di apertura: in Norvegia le vigne in prossimità dei fiordi (qui l’Aurlandsfjord) sono particolarmente vocate © R. Bye – Unsplash

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© Riproduzione riservata - 18/05/2022

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