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Umani Ronchi: il Pelago che stupì il mondo

2 Marzo 2011 Roger Sesto
Fondata negli anni Cinquanta a Cupramontana (Ancona), la Umani Ronchi si è sempre distinta come interprete del Verdicchio dei Castelli di Jesi e del Rosso Conero. Chiediamo ragioni della scelta di fare vini da invecchiamento. Ci risponde Michele Bernetti: «Per dimostrare che anche nelle Marche è possibile produrre nettari di lungo corso. Ma c’è anche un motivo più commerciale: il nostro target di clientela è diverso da quello che di solito sceglie vinelli». Domandiamo quale sia la finalità di accantonare le vecchie annate. «Degustazioni verticali per stampa e operatori sono frequenti. In Italia non esiste ancora la cultura francese di degustare vini di annate vecchie, per cui fino a oggi non abbiamo sentito l’esigenza di inserire queste categorie nel listino. Tuttavia qualcosa sta cambiando, cominciano ad arrivare delle richieste, per cui non escludiamo che, in un prossimo futuro, noi non si possa introdurre anche questa novità». Chiediamo di parlarci dei vini che più si prestano a invecchiare. «Uno è il Pelago, blend di Montepulciano, Cabernet Sauvignon e Merlot concepito dal nostro consulente dell’epoca, il grande Giacomo Tachis. La sua prima annata fu il 1994, che si fregiò del massimo riconoscimento all’International Wine Challenge di Londra del 1997, vincendo il Best Red Wine Overall. Ma nel mio cuore è rimasto anche il 1995, oggi forse la migliore in nostro possesso. L’altro è la Riserva Plenio Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico. Di questo sono nella mia memoria tre annate: 2001, 2004 e 2005. La 2001 è quella che ha visto l’inizio della consulenza di Beppe Caviola, forse il primo millesimo del Plenio progettato per l’invecchiamento. Il 2004 invece è stata l’edizione del cambio stilistico: dalla barrique alla botte grande, per guadagnare in finezza, una scelta che per quegli anni era ancora controcorrente. La 2005 la trovo molto fine e piacevole».

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