Terroir vs vitigno. Chi vince la sfida del climate change?
Il climate change pone maggiormente l’accento sul terroir o sulla scelta del vitigno?
Alla domanda risponde Cesare Intrieri (professore emerito di Viticoltura. Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell’Università di Bologna). Il quesito della settimana è stato proposto ai candidati Masters of wine (Esame di teoria, paper 5 – contemporary issues, 2019).
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Cesare Intrieri
Il climate change è certamente un fenomeno complesso che, dalla fine del secolo scorso, si è manifestato con eventi estremi e talora contrastanti (inverni temperati, gelate primaverili, piogge torrenziali, grandinate, lunghi periodi di siccità, estati torride, ecc.), che hanno investito quasi tutte le regioni del nostro Paese.
Il vero problema è il global warming
Tuttavia, per quanto gli effetti del climate change sulla viticoltura siano molteplici ed abbiano comportato alcune modificazioni della tecnica colturale, a mio parere gli effetti più importanti dei cambiamenti climatici sono legati all’aumento generalizzato delle temperature medie (global warming), che a lungo termine potrebbero incidere anche sulla scelta delle “zone viticole” e su quella dei “vitigni”.
Il gran caldo costringe a una vendemmia anticipata
È infatti opportuno ricordare che negli ultimi trent’anni si è verificata, nelle varietà tipiche di ciascun ambiente, un’accelerazione della maturazione tecnologica rispetto a quella fenolica, che ha talora costretto i viticoltori ad anticipare la vendemmia per evitare un eccessivo accumulo degli zuccheri e una degradazione troppo rapida dell’acidità. Considerando ad esempio una varietà fondamentale come il Sangiovese, alcuni dati sperimentali indicano che nelle zone tipiche dell’Emilia-Romagna, delle Marche e della Toscana, dove negli anni ’90 la vendemmia avveniva mediamente tra la prima e la seconda settimana di ottobre, nel 2010 l’epoca di raccolta del Sangiovese era già mediamente anticipata all’ultima settimana di settembre a causa degli aumenti termici dei mesi primaverili-estivi e di un forte raccorciamento delle fasi fenologiche.
Aumenteranno i vigneti di alta collina
Questo significa che in futuro potrebbe essere necessario modificare in modo consistente la localizzazione dei nuovi insediamenti viticoli, che potrebbero trovare condizioni climatiche più fresche in zone di alta collina o di bassa montagna e in versanti meno esposti all’irraggiamento solare, precedentemente non piantati a vigneto per carenze di temperatura. Valga per tutti l’esempio della Toscana, dove nelle colline di Greve in Chianti il limite altimetrico per la completa maturazione del Sangiovese si è innalzato dai 300-350 ai 400-450 metri di quota.
La scelta del tipo di uva dipende dalla necessità termica
Il climate change può peraltro comportare alcuni ripensamenti anche nella scelta delle varietà, in rapporto agli aumenti delle temperature “attive”, i cosiddetti gradi-giorno (somma dei gradi medi giornalieri superiori ai 10°C da aprile ad ottobre), necessari alla vite per il completamento della maturazione. È noto infatti che ogni varietà presenta una specifica “necessità termica” (ci sono vitigni precoci e vitigni tardivi), e che per raggiungere una perfetta maturazione ogni vitigno deve essere inserito in un ambiente che presenti una disponibilità termica il più possibile corrispondente alla necessità termica del vitigno stesso.
La rivincita delle varietà tardive
In pratica potrebbe quindi verificarsi che nelle zone del Nord Italia, un tempo con sommatorie termiche “attive” non superiori ai 1400-1600 gradi giorno, dove sono prevalentemente diffuse le varietà precoci, gli aumenti delle temperature attive, che oggi possono superare anche i 1800 gradi-giorno, potrebbero comportare un progressivo utilizzo di varietà più tardive. Di contro, nelle zone ad alte sommatorie termiche, come ad esempio nelle aree più meridionali della nostra penisola, un tempo con temperature attive attorno ai 2200 gradi-giorno, l’ulteriore aumento delle temperature attive fino ad oltre 2500 gradi-giorno potrebbe rendere problematica la coltura della vite con le varietà attualmente presenti, e potrebbe essere necessario introdurre vitigni ancora più tardivi, magari ottenuti con il miglioramento genetico per incrocio, o recuperati tra quelli minori, poco utilizzati in passato perché incapaci di raggiungere un completo livello di maturazione.
Se nei prossimi anni il global warming continuerà ad accentuarsi, è pertanto possibile che anche l’assetto tradizionale della viticoltura italiana e la nostra piattaforma ampelografica debbano essere in parte modificati.
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Tag: cambiamento climatico, Cesare Intrieri, climate change, La Terza Pagina, terroir, vitigno© Riproduzione riservata - 03/07/2020