Storia e fortuna del vino lungo la Via Francigena
Siamo felici di ospitare una riflessione del prof. Mario Fregoni, presidente onorario Oiv, che tocca un tema che ci sta particolarmente a cuore e di cui siamo convinti: il viaggio.
Il movimento di uomini e popoli è da intendersi come un generatore delle civiltà, compresa quella del vino che deve moltissimo ai pellegrinaggi, come aveva già sostenuto Goethe.
Il viaggio è sempre motore del mondo?
Goethe sostenne che la coscienza dell’unione dell’Europa si era andata formando con i pellegrinaggi. Altrettanto si può affermare che le migrazioni dei pellegrinaggi hanno contribuito all’estensione della viticoltura europea e che la Via Francigena è uno dei percorsi più antichi e importanti. Mentre è facile elencare i vini che attualmente si incontrano nella Via Francigena, non altrettanto agevole è la segnalazione di quelli delle epoche passate. La Via Francigena è nata nel IX secolo, all’epoca carolingia. Infatti il Papa per la prima volta incontrò Carlomagno in un convento posto al di là del S. Bernardo. Ufficialmente la Via Francigena venne riconosciuta nel X secolo, allorché il vescovo Frigerio partì dalla splendida cattedrale di Canterbury (Inghilterra) per andare a Roma a incontrare il Papa. Essa ha tuttavia la cultura dei Franchi.
L’itinerario classico della Via Francigena
In realtà esistono diversi itinerari ma quello classico passava dal Gran San Bernardo, anche se dal XII secolo si utilizzava spesso il passo del Moncenisio, specie durante l’inverno, che fra l’altro consentiva di raccogliere i pellegrini provenienti dalla Borgogna e dal Reno. Vale comunque la pena di presentare il percorso primitivo.
Inghilterra: Canterbury, Dover. Francia: Calais, Arras, St. Quintin, Laon, Reims, Châlons-en-Champagne, Bar-sur-l’Aube, Clairvaux, Besançon, Pontallier. Svizzera: Losanna, St. Maurice, St. Bernard. Italia: San Bernardo, Aosta, Ivrea, Vercelli, Pavia, Piacenza (l’attraversamento del Po avveniva a Calendasco), Fiorenzuola, S. Donnino (attuale Fidenza), Val di Taro, Berceto, Cisa (allora denominato monte Bardone o mons Longobardorum, perché era il passo impiegato dai Longobardi per raggiungere la loro capitale Pavia), Pontremoli, Val di Magra, Luni, S. Gimignano, Siena, Radicofani, Montefiascone, Viterbo, Roma.
I pellegrini che desideravano andare in Terra Santa proseguivano sulla Via Appia sino a S. Maria di Leuca per poi attraversare l’Adriatico dal porto di Brindisi. Complessivamente da Canterbury a S. Maria di Leuca sono 3.268 km.
Il vino come alimento
I pellegrini bevevano il vino che veniva loro offerto lungo il tragitto oppure negli ostelli, ma in generale non erano ricchi. Il vino era considerato un alimento, come il pane, e anche un medicamento, “la più sana ed igienica delle bevande”, come fu definita da Pasteur, quando l’acqua era spesso biologicamente inquinata. I vini della Via Francigena erano poco alcolici e d’estate andavano soggetti allo spunto o acescenza, specie nelle borracce dei pellegrini.
Un percorso tra zone vinicole di pregio
Questi attraversavano rinomate zone viticole, come la Champagne, ma allora i vini erano dolci e non acidi, comunque non spumanti come quelli che sarebbero stati inventati da Dom Pérignon (come narra la leggenda francese). In Svizzera i pellegrini attraversavano il Vallese, ossia la Svizzera Romanda, di lingua francese, oggi zona di grandi bottiglie. Anche in Italia essi transitarono per aree viticole, come Luni, Siena (Chianti), S. Gimignano e Montefiascone. In questa cittadina attorno al 1100 il vescovo bavarese Johannes Defuk ebbe la triplice segnalazione Est! Est!! Est!!! sulla porta di una trattoria, scritta dal coppiere inviato in avanscoperta sulla Via Francigena. Ovviamente il vescovo fece onore a quel vino eccellente e secondo la leggenda nella chiesa di S. Flaviano di Montefiascone gli è stato dedicato un sepolcro, dove ogni anno si usa versare un barile di Est! Est!! Est!!!.
La viticoltura era diffusa e promiscua
Quanto alla viticoltura dell’epoca tra il IX e il XII secolo, la storia non è molto ricca di documentazione, ma si può immaginare che fosse molto estesa, perché tutte le aziende agricole facevano il loro vino di famiglia. Principalmente era una viticoltura promiscua, di tipo etrusco, allevata su tutori vivi (olmo, pioppo, gelso, aceri, fruttiferi, ecc.), ossia ad alberata o a pergola, con potatura saltuaria. La vite era franca di piede e durava oltre 100 anni (oggi ridotti a circa 25).
L’epoca dei nomi geografici
La fillossera, l’oidio, la peronospora, ecc. sono giunti in Europa nella seconda metà del 1800 e hanno determinato danni enormi (Fregoni, Le viti native americane e asiatiche, Città del vino, 2018). All’epoca dei grandi pellegrinaggi i vigneti erano costituiti da mescolanze di varietà, propagate per talea o anche per seme. La loro produzione era scarsa e di bassa gradazione, spesso soggetta ai marciumi della Botrytis. Solo nelle regioni del Sud la viticoltura greca ad alberello forniva grandi vini a elevato grado alcolico, già noti ai tempi dei Romani. Per esempio, Albano, Cecubo, Formiano, Gaurano, Marsico, Pompeiano, Sabino, Sibari, Sorrentino, Taranto, Tiburtino, Turii, Venafrano e tanti altri. Non possiamo dimenticare il più famoso: il Falernum, che Cesare offrì a Cleopatra come “spumantem”, ottenuto con una doppia fermentazione, di cui la seconda utilizzando l’uva passa nordafricana Meroe (Fregoni, Origini della vite e della viticoltura, Musumeci, 1991).
I vini da vitigno si diffusero più tardi
I pellegrini non hanno conosciuto vini di vitigno, come testimonia Sante Lancerio nel suo libro I vini d’Italia giudicati da Papa Paolo III Farnese scritto nel 1559, nel quale il Santo Padre citava solo vini di certe zone geografiche italiane e francesi. Analogamente Andrea Bacci, medico del Papa, nella sua opera enciclopedica in sette volumi (Storia naturale dei vini) pubblicata nel 1596, cita i vini unicamente con nomi geografici. Solo agli inizi del 1800 comparvero le prime ampelografie che descrivevano i vitigni e vennero così utilizzati per battezzare i vini, specialmente in Italia, dove la tradizione è ancora diffusa, ma non in Francia.
Il ruolo dei pellegrini nella diffusione dei vini
In conclusione, il legame fra cultura enoica e pellegrinaggi francigeni era assicurata dagli attraversamenti francesi, svizzeri e italiani, dato che la Gran Bretagna non produceva vino. Sicuramente i pellegrini hanno contribuito a far conoscere i vini tramite la trasmissione orale e non si può escludere che abbiano diffuso qualche tralcio o alcuni semi di varietà pregiate.
Foto di apertura: in Toscana lo storico percorso passa per San Gimignano, Siena e Radicofani © Feel good studio – Shutterstock
Tag: La Terza Pagina, Via FrancigenaQuesto articolo fa parte de La Terza Pagina, newsletter a cura di Alessandro Torcoli dedicata alla cultura del vino. Ogni settimana ospita opinioni di uno o più esperti su temi di ampio respiro o d’attualità. L’obiettivo è stimolare il confronto: anche tu puoi prendere parte al dibattito, scrivendoci le tue riflessioni qui+
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© Riproduzione riservata - 29/10/2021