Senza confini Senza confini Anita Franzon

Sangiovese, Fiano, Montepulciano: i vitigni italiani che diventano internazionali

Sangiovese, Fiano, Montepulciano: i vitigni italiani che diventano internazionali

Le varietà viaggiano e lo fanno da millenni. Quasi tutti i cosiddetti vitigni internazionali hanno conquistato il mondo a partire dalla Francia, come Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syrah e Malbec. Ora, lontano dalle loro zone d’origine, anche altre uve provenienti dal sud dell’Europa si stanno facendo strada: molte sono italiane.

Per approfondimenti: The Guardian e Wine-Searcher

Che si trovino in Argentina, Cile, Australia, Stati Uniti o Sudafrica, quasi tutte le varietà più coltivate e vendute in molte delle aree vitivinicole della Terra sono partite dalla Francia. Come spiega il giornalista David Williams su The Guardian, vitigni internazionali come Cabernet Sauvignon, Pinot nero, Merlot e Chardonnay hanno conquistato il mondo sulla base di un modello francese per cui molti territori vinicoli più giovani hanno sempre provato riverenza.

Uve italiane alla conquista del Nuovo Mondo

Tuttavia, sono sempre di più i produttori del Nuovo Mondo a puntare su varietà provenienti da Italia, Spagna o Portogallo, aree con le quali condividono condizioni climatiche e topografiche simili e che finalmente vengono considerate un modello altrettanto stimolante quanto la Francia.

Tre esempi dall’Oceania al Nordamerica

Williams porta come esempio tre vini ottenuti da uve italiane. Un Sangiovese australiano (Coriole Sangiovese 2019, McLaren Vale) impiantato nel 1985 e che da anni è un vitigno di riferimento per la Cantina produttrice; un Fiano californiano (Giornata 2019, Paso Robles), ovvero una delle poche ma ben riuscite versioni statunitensi del vitigno campano; e un Montepulciano neozelandese (Secret of Marlborough 2016, Hans Herzog), un vino dalla grande struttura e lunghezza che dimostra quanto il vitigno abruzzese possa dare ottimi frutti anche molto lontano da casa.

Sangiovese viaggiatore

Tra le varietà tipicamente italiane più coltivate all’estero regna, però, il Sangiovese. Il vitigno più diffuso in Italia è, infatti, molto apprezzato anche dai produttori stranieri, che lo hanno esportato nella speranza di riuscire a ottenere ottimi vini anche lontano dal suo luogo d’origine; ma non tutti sono d’accordo sul futuro di quest’uva fuori dall’Italia. Tra gli esempi riportati su Wine-Searcher c’è la storia di Mark Walpole, viticoltore ed enologo della Cantina Fighting Gully Road a Beechworth, Victoria, che ha iniziato a lavorare con il Sangiovese negli anni ’90. All’epoca in Australia esisteva un solo clone di Sangiovese, ma un incontro con Paolo De Marchi della Cantina Isole e Olena, nel Chianti Classico, ha offerto ai produttori locali – Walpole compreso – due nuovi cloni. «Un grande cambiamento nella produzione di Sangiovese australiano grazie a rese inferiori e grappoli più sciolti, che consentono una qualità dell’uva e, di conseguenza del vino, migliore», ha affermato Walpole.

Cercare una nuova strada e non l’imitazione

Anche negli States non mancano i produttori con l’amore per il Sangiovese. Il californiano Peter Stolpman lo ha impiantato per la prima volta nel 1994; Noah e Kelly Dorrance di Reeve Wines lo hanno portato nelle famose Contee di Sonoma e Mendocino; e, più a nord, si è fatto notare il lavoro di Chris Figgins di Leonetti Cellar, grazie a cui il Sangiovese prospera nei terreni di Walla Walla (Washington State). Molti di questi produttori non stanno, però, cercando di imitare i grandi vini italiani. Mirano a trovare una propria strada sperando di capire come interpretare il Sangiovese in base al territorio che lo ospita ed evitando di fare paragoni con le etichette italiane.

Il compito dei produttori e della stampa estera sarà ora quello di far conoscere le proprietà di quest’uva e le sue diverse versioni anche al di fuori della sua culla nel centro Italia.

Foto di apertura: un grappolo di Sangiovese © Consorzio del Chianti Classico

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© Riproduzione riservata - 16/09/2021

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