Il saluto a Denis Dubourdieu, appassionato innovatore

Il saluto a Denis Dubourdieu, appassionato innovatore

di Teresa Severini

Un amico vero: può succedere di perderlo per sempre. Rifiuti di accettare che non ci sia più. Nel mezzo c’è una vita. Ed è l’amico innanzitutto, che piango, con la scomparsa di Denis Dubourdieu. Bordeaux 1979, Faculté d’Oenologie: frequentavo corsi di approfondimento, unica italiana tra tanti studenti, greci, spagnoli, francesi.

Le lezioni di Denis, giovane ricercatore, alle prese con i suoi studi sulla Botrytis cinerea e i polisaccaridi, già allora erano un sunto vivace di ricerca, letteratura, filosofia, ironia e un pizzico discreto di sciovinismo, immancabile in lui! Curioso di tutto, si informò su di me, del “domain” da cui venivo e sul perché fossi lì, ascoltando, interessato, i miei punti di vista. «Mia moglie Florence», mi disse un giorno, «ha radici italiane, ed è appassionata della vostra letteratura, mi farebbe piacere che la conoscesse». Mi invitarono a cena; Fabrice aveva un anno e non voleva mangiare; sinfonie di Malher.

Un’amicizia di lunga data

Fu una bella serata, un contesto familiare accogliente. Nacque da lì, da quel momento in cui ognuno di noi era solo, semplicemente se stesso, una lunga e forte amicizia, animata da ripetuti scambi di visite; persino in viaggio di nozze facemmo tappa da loro, ad Arcachon, nella bella casa sulla spiaggia. Lì Denis e Florence mi avevano iniziato alla vela, passione che, con mio marito altrettanto malato di bateau, ha continuato a legarci. Nacque il loro secondo figlio, Jean Jacques e con Paul Pontallier (Paul, poi divenuto direttore tecnico e in seguito direttore generale di Château Margaux, anche lui prematuramente scomparso) fummo i padrini. Ricordi indelebili, Jean Jacques sulle ginocchia di Giorgio (Lungarotti, ndr), a Châteaux Reynon, la loro proprietà nelle Côtes de Bordeaux, mentre Denis ascoltava attento la storia e la determinazione di questo vigneron italiano e la passione per l’arte e la storia del vino di mia madre.

Denis Dubourdieu e le sue passioni

Giorgio si confrontava, gli chiedeva consigli, attratto dal valore dell’innovazione del giovane produttore bordolese. Per lui era questo il tratto distintivo di Denis, più ancora della sua carriera scientifica universitaria. Li legava la passione per la terra. Affascinato dal nostro Museo del Vino, con mia madre Denis si perdeva in lunghe dissertazioni sugli Etruschi, che molto lo interessavano. Momenti di vita familiare che correvano in parallelo ai tanti Vinexpo cui partecipammo, fin dall’inizio, tra i rari italiani, e alle piacevolissime serate a Reynon, dove in seguito, ogni volta abbiamo continuato a trovare importanti novità. La fierezza con cui Denis ci mostrava le nuove acquisizioni, Floridène, Cantegril, e poi Haura, e le degustazioni da lui condotte con lessico colto e raffinato e la consueta vivace ironia erano sempre accompagnate dalla solida, silenziosa, condivisione di Florence.

Storia di famiglia

Una coppia profondamente unita, complementare, una stessa visione, e che, passo dopo passo, nei 40 anni vissuti insieme, ha saputo portare avanti con coraggio il proprio grande progetto, di cui da tempo sono parte anche i figli. In particolare Jean Jacques, mio figlioccio, crescendo si allineava a Denis, mentre Fabrice forse più a Florence. Una storia di amicizia di famiglia, che prosegue nei nostri figli. Andavamo a trovarli, insieme abbiamo navigato, visitato vigneti e cantine di Francia, di Spagna. Loro venivano spesso a trovarci a Torgiano, e insieme abbiamo perlustrato l’Umbria; ogni volta un’occhiata alla vigna, qualche commento, per molti anni solo consigli, informali, niente di più. Poi, improvvisamente, Giorgio ci lasciò, nel 1999, proprio alla vigilia di una loro visita. Vennero ugualmente a trovarci, desolati. Parlammo a lungo del futuro, della nostra determinazione ad andare avanti.

Un professionista e un amico

Denis allora prese da parte me e Chiara e ci disse «Maintenant je suis prêt, ora sono pronto; non ho mai voluto contrastare le idee e le convinzioni di vostro padre che è stato veramente un grande e ha creato la viticoltura umbra, ma ora, se volete, insieme possiamo puntare in avanti». E da allora avviò con noi il conseil, coadiuvato da Christophe Ollivier e interfacciato con Lorenzo Landi e Vincenzo Pepe, il nostro enologo. Rapporto di grande fiducia, in cui all’amicizia si riservava solo il tempo libero, dopo le meticolose degustazioni, le decisioni, i controlli in vigna. Erano serate molto piacevoli, in cui tutti gli argomenti toccati confermavano il senso dei legami veri, consentendo di ritrovarci sulla stessa lunghezza d’onda senza soluzione di continuità. Dopo l’amico, quindi, il professionista, lui che a monte era scienziato, e viticoltore.

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 05/2016. Per continuare a leggere acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com.
Buona lettura!

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© Riproduzione riservata - 06/12/2016

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