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Piemonte: ottime performance per il Barolo, ma anche per i vini del Monferrato

Piemonte: ottime performance per il Barolo, ma anche per i vini del Monferrato

Il Piemonte sta dimostrando di essere diventato una delle regioni più dinamiche al mondo e grazie a due portabandiera come il Barolo e il Barbaresco sta continuando a crescere sul mercato secondario. Nel frattempo prosperano anche le altre denominazioni regionali, sia in quantità, sia in qualità. Uno sguardo ai rossi del Monferrato (che non è una “montagna di ferro”) e, in particolare, alla Barbera d’Asti.

Per approfndimenti: Vinous, Liv-ex, Tim Atkin e The drinks business


«Negli ultimi due decenni il Piemonte è diventato una delle regioni più dinamiche al mondo. […] L’interesse per il Barolo e il Piemonte non è mai stato così alto», scrive il giornalista Antonio Galloni su Vinous. E la crescente domanda di vini piemontesi si è riverberata anche nel mercato secondario anche se, storicamente, il valore di tali vini è sempre apparso modesto rispetto a quelli toscani che, con una combinazione di qualità, volume e forza del marchio, sono stati a lungo considerati gli alfieri italiani del settore.

Come cresce il valore dei vini del Piemonte (in particolare del Barolo)

Ma le cose stanno cambiando velocemente. La quota di valore del Piemonte sul commercio totale del vino italiano è passata dall’11,4% nel 2015 al 43,4% all’inizio del nuovo anno. Questa evoluzione è avvenuta soprattutto grazie al Barolo, che ha occupato il 73% del mercato piemontese, seguito dal Barbaresco (26%). Gli altri vini piemontesi incidono invece solamente per una minima percentuale. Inoltre, le piccole quantità di Barolo prodotte e la domanda globale in crescita hanno portato a notevoli aumenti di prezzo per alcuni dei suoi vini – dal 200% al 400% – contribuendo all’aumento della quota di mercato in valore (Liv-ex).

Un po’ di confusione sull’origine del Monferrato

Anche il Monferrato, però, è entrato nei radar di molti critici all’estero. Un recente articolo sul sito di Tim Atkin MW, ma scritto dal collaboratore Peter Pharos, offre un bello spaccato sui rossi della storica regione piemontese tradotta, però, come “Iron Mountain” (“Montagna di ferro”). L’etimologia di Monferrato, anche se discussa, non dovrebbe derivare dal comune metallo, ma dal latino Mons ferax (area coltivata, fertile, produttiva); oppure dalla leggenda secondo cui Aleramo, il capostipite dei marchesi del Monferrato, definì i confini della zona percorrendo con il suo cavallo l’intero territorio. Non avendo, però, a disposizione gli strumenti per ferrare (“ferrà”, o “frà” in piemontese) il suo destriero, Aleramo ricorse a un mattone (“mòn” in piemontese), da cui il nome; mòn-ferrà, quindi Monferrato. Il giornalista dimostra più sicurezza nella descrizione dei vini, rivelando le sue preferenze per la Barbera, ma anche per altre uve piemontesi come Freisa e Grignolino, Ruché o Albarossa, e per alcuni produttori come Accornero, Braida o Montalbera.

La produzione di Barbera d’Asti cresce

Su The drinks business si parla, invece, dei numeri in crescita del Monferrato. La Barbera d’Asti Docg ha visto un aumento di +2,1% delle bottiglie prodotte rispetto al 2019. Anche la giovane Nizza Docg è cresciuta, arrivando a produrre 619.632 bottiglie, +4% rispetto alla produzione del 2019; mentre il Ruchè di Castagnole Monferrato Docg l’anno scorso ha sfiorato 1 milione di bottiglie. Secondo il Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, la produzione di vino in bottiglia è cresciuta in generale del +0,4% nel 2020, dimostrando, così, una grande capacità di ripresa anche in condizioni difficili.

Foto di apertura: vigneti delle Langhe

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© Riproduzione riservata - 15/04/2021

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