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Petit Rouge, piacevole da solo, profumato in blend

7 Dicembre 2017 Roger Sesto

Il Petit Rouge è il vitigno autoctono a bacca rossa più coltivato in Valle d’Aosta. Sono 400.000 le bottiglie prodotte in cui è presente, pari al 20% di tutti i vini valdostani. Spiega Daniele Domeneghetti, enologo dell’Institut Agricole Régional: «Negli anni Ottanta sono stati selezionati quattro cloni che si sono poi diffusi in tutta la regione, con successive selezioni massali. Punti di forza di quest’uva sono la piacevolezza, il buon tenore alcolico e la relativa semplicità delle pratiche vitienologiche necessarie a ottenere un vino appagante e beverino. Le debolezze consistono in una struttura piuttosto esile, in una trama rada e in un’acidità che tende a scemare. Per queste ragioni, viene spesso assemblato con vitigni più acidi e corposi.

Un vitigno che preferisce il Guyot

«Il nostro Petit Rouge Vallée d’Aoste Doc nasce da una vigna degli anni Ottanta, a 670 metri, dove sono presenti un 15% di diverse varietà locali, che infondono polpa e freschezza, per un vino che, nelle migliori annate, come la 2013 e la 2015, profuma di violette, spezie piccanti ed erbe aromatiche», conclude Domeneghetti. Il sistema di allevamento più adatto secondo Domeneghetti è il Guyot, anche se i mutamenti climatici in atto sono pericolosi perché abbassano la già scarsa acidità di questo frutto. Un modo per controllare il problema è avere impianti diversamente esposti e a differenti altitudini.

Impianti sempre più in alto

Sicuramente una soluzione sarebbe giocare sulle altimetrie, andando a vitare più in alto, ma non è un’opzione semplice da implementare nel breve periodo; è invece troppo rischiosa un’esposizione a nord. Dei 7,5 ettari totali vitati dall’Istituto, 0,7 sono dedicati al Petit Rouge, per una produzione di 6.000 bottiglie. Da notare che l’Institut, pur trovandosi nel comprensorio della sottozona Torrette (la più diffusa Doc a base Petit Rouge con 300.000 bottiglie), ha è deciso di non sfruttare questa denominazione in quanto pedologicamente troppo eterogenea e, quindi, non così identitaria.

La sottozona Enfer d’Arvier

Particolare declinazione del Petit Rouge è quella che offre la sottozona Enfer d’Arvier; protagonista qui la piccola cooperativa Coenfer. L’agronomo Fabrizio Prosperi racconta che «il Petit Rouge è un vitigno diffusissimo nella regione; dall’Alta Valle (Arvier) sin verso il Piemonte (Monjovet), sebbene quasi sempre utilizzato in blend». La sottozona Enfer d’Arvier prevede un minimo di 85% di impiego di quest’uva, ma alla Coenfer la si lavora in purezza, da una vigna di 40 anni densa 9.500 piante per ettaro.

Incostante e amante del caldo

Si tratta di una cultivar dalla produttività incostante, che patisce gli estremi climatici e non ha colorazione intensa; un po’ come il Nebbiolo. Mentre in Bassa Valle si vendemmia nella prima decade di ottobre, ad Arvier matura tra fine ottobre e inizio novembre. È una varietà che produce poco, specie se fa freddo (perciò l’innalzamento delle temperature in questo caso non è un problema), non oltre i 50 q/ha. «Noi usiamo il cordone speronato invece del Guyot; questo per avere grappoli più piccoli e quantitativamente contenuti, a beneficio della qualità».

Due declinazioni per l’Enfer

La produzione di Enfer d’Arvier è per il 90% nelle mani della Coenfer, una microcooperativa le cui vigne si estendono su soli 6,5 ettari, 4 dei quali destinati all’Enfer; una particolare realtà dove i 120 soci nel 2011 hanno conferito i terreni e non più le uve. Da questi 4 ettari si ottengono 25.000 bottiglie, 20.000 della versione più semplice e 5.000 dell’Clos de l’Enfer, Enfer d’Arvier Vallée d’Aoste Supérieur Doc.

Un terroir ideale per il Petit Rouge

«Il nostro Petit Rouge dimora su terreni a 800 m, morenici e pietrosi, con una buona percentuale di sabbia, il che impone un’adeguata irrigazione; tutti aspetti che contribuiscono a mitigare l’impatto dell’evoluzione climatica, che di fatto sta incidendo solo sull’innalzamento della gradazione alcolica. Abbiamo un terroir invidiabile: un anfiteatro roccioso che ripara dal vento e mantiene un giusto calore, a beneficio della concentrazione dei nostri vini, insospettabilmente maggiore di quelli coltivati in Bassa Valle; il nostro Enfer è di certo un nettare più concentrato del Torrette, ad esempio, oltre a essere più grasso e fresco per via delle maggiori escursioni termiche».

Lunghe macerazioni e affinamento in legno

In cantina si opta per lunghissime macerazioni, anche di 70 giorni, durante i quali si svolge pure la malolattica; l’affinamento avviene in legno per almeno 6 mesi. Segue poi un’opportuna maturazione in bottiglia. Per il Superiore si opera un’accurata cernita delle uve, il 30% delle quali appassiscono per un mese, e l’elevazione in fusti si protrae per non meno di un anno.

Nella foto: le vigne di Petit Rouge di Coenfer

Per conoscere gli altri autoctoni della Valle d’Aosta clicca qui

L’articolo completo è su Civiltà del bere 4/2017. Per continuare a leggere acquista il numero sul nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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