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Perché la Commissione europea ha investito 15 milioni in Sudafrica per il vino?

18 Luglio 2025 Alessandro Franceschini
Perché la Commissione europea ha investito 15 milioni in Sudafrica per il vino?
© Ubuntu Images - Pexels

Dopo la notizia, l’inevitabile levata di scudi tra dichiarazioni ufficiali e proteste indignate. In questo servizio abbiamo cercato di fare chiarezza sulla polemica ancora in corso per capire la genesi e gli obiettivi del cospicuo stanziamento

Nei giorni scorsi, ma la polemica non si arresta neanche in queste ore, un vero e proprio tsunami di dichiarazioni e appelli da parte del mondo del vino e non solo, in primis francese e italiano, si sta abbattendo contro la Commissione europea, rea di finanziare con 15 milioni di euro la filiera vinicola del Sudafrica.

Il cuore della polemica

Più o meno, i termini della polemica, al netto di poche varianti, girano tutti intorno al seguente ragionamento, simile anche ai contenuti di un’interrogazione di parte di sette parlamentari europei a Bruxelles: in un momento storico come questo, di crisi generale del vino, dovuta a molteplici fattori come il calo dei consumi e la crisi climatica, che stanno portando a dover prendere decisioni molto delicate come la distillazione o addirittura l’espianto dei vigneti, che senso ha finanziare lo sviluppo dell’industria vinicola di un Paese lontano dall’Europa come il Sudafrica, produttore e anche competitor sui mercati internazionali?

All’origine degli accordi con il Sudafrica

Ma perché la Comunità Europea avrebbe deciso di finanziare il vino sudafricano? Per di più con un tempismo non proprio dei migliori? In realtà non si tratta di una decisione presa in questi mesi e neanche l’anno scorso. Per capire il motivo dell’erogazione di questi 15 milioni di euro bisogna infatti risalire all’Assc, ovvero l’Accordo sugli scambi, lo sviluppo e la cooperazione tra Unione Europea a Repubblica Sudafricana del 1998 che aveva come obiettivo, si legge su sito dell’Unione, quello di “rafforzare le relazioni tra l’Ue e il Sudafrica in vari settori attinenti agli scambi, lo sviluppo e la cooperazione”. Un classico accordo di natura socio-economica, poi superato dalla stipula di un altro accordo, quello di partenariato economico (Ape) tra Ue e Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (Sadc), che lo ha ulteriormente rafforzato e allargato ad altri cinque stati dell’Africa australe oltre al Sudafrica: Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia e Eswatini (ex Swaziland). È entrato in vigore nel 2016 ed è di natura commerciale: molto sommariamente, diciamo che abolisce quasi del tutto i dazi doganali in entrata e uscita tra Ue e questi Paesi.

La creazione del fondo per il vino sudafricano

Tra le iniziative previste da quest’ultimo accordo vi è anche l’istituzione di un fondo, il Wine and spirits fund, che ha come obiettivo “l’attuazione del Programma di sostegno per la trasformazione del settore del vino e degli alcolici in Sudafrica” si legge sul sito di Land Bank, partner del fondo insieme all’Ue, al dipartimento dell’agricoltura del Sudafrica e al National agricultural marketing council (Namc), organo del ministero dell’Agricoltura sudafricano che si occupa di rendere più efficiente il settore agricolo. Il programma di sostegno prevede, e qui arriviamo ai famigerati 15 milioni di euro, l’erogazione di 10 milioni per il settore di trasformazione del vino vero e proprio, e 5 per la sua commercializzazione e distribuzione.

Gli obiettivi dello stanziamento

Un aspetto fondamentale da sottolineare è che il fondo non serve a finanziare in modo generico il vino sudafricano, ma a “facilitare la trasformazione del settore per l’inclusione e la partecipazione significativa dei produttori di colore lungo tutta la catena del valore”. I 15 milioni di euro, arrivati nel 2024, verranno ora erogati verso progetti vagliati dal South Africa Wine, organizzazione no-profit che si occupa di potenziare e far progredire la catena del valore dell’industria del vino e del brandy.

Quali benefici per l’Ue dell’accordo con il Sudafrica?

L’accordo, quindi, dona sostegno alle comunità di colore che operano nel mondo del vino in Sudafrica, Paese ancora segnato dagli squilibri di 44 anni di apartheid durati sino al 1994. Ma secondo Oliver Serrano Gutiérrez, segretario generale di Arev, vale a dire l’Assemblea delle regioni vinicole europee, anche l’Ue ci avrebbe guadagnato da questo accordo che ha poi dato origine al finanziamento una tantum di 15 milioni di euro.
Intervenendo sulla questione, ha spiegato come tra i benefici ci sia stato il “riconoscimento e la protezione delle indicazioni geografiche (Champagne, Porto, Cognac) e l’apertura del mercato sudafricano ai vini e agli alcolici europei”. A sostegno di questo Gutiérrez afferma che grazie a questi accordi «il Sudafrica è diventato uno dei principali importatori di Cognac dopo Stati Uniti e Cina (3,1 milioni di bottiglie) e il principale mercato africano per lo Champagne».

Stabilizzare i mercati e aprire nuovi sbocchi

Gutiérrez non cita l’Italia, tra gli eventuali beneficiari, Paese che si posiziona al secondo posto dopo la Francia tra quelli che esportano vino in Sudafrica, anche se decisamente distanziato con una quota di poco superiore all’11% (fonte dati: Trade Map).
Insomma i vantaggi sarebbero stati importanti e i 15 milioni di euro rappresentano solo «lo 0,01% del budget annuale della Politica Agricola Comune (Pac) dedicato alla viticoltura europea, che ammonta a circa 1,1 miliardi di euro. L’Europa non sta voltando le spalle ai suoi viticoltori. Al contrario, agisce per stabilizzare i mercati e aprire nuovi sbocchi», conclude il segretario di Arev.

Un clima molto teso per il vino

Nonostante il finanziamento rientri quindi all’interno di un accordo commerciale che, come in questi casi, prevede uno scambio di agevolazioni – da verificare se eque o meno, partendo da quello che sostiene l’Arev –, la vicenda ha come sortito l’effetto di fare da detonatore all’interno di un clima già caldo e non certo dei più sereni, alimentato in primis dall’estenuante tira e molla di Trump sui dazi. A questo bisogna aggiungere i ripetuti appelli dell’Uiv che invocano lo stop all’impianto di nuovi vigneti e che mettono in evidenza la presenza di troppe giacenze. Insomma, ci si avvicina alla vendemmia 2025 non solo con le tante incognite dovute a un meteo sempre più poco prevedibile, ma soprattutto preoccupati più che mai per la situazione economica.

Le proteste francesi

I primi a muoversi sono stati i francesi, a partire da Jérôme Despey, presidente del consiglio di FranceAgriMer, nonché viticoltore, che sulla rivista Vitisphere ha parlato di «decisione inaccettabile» e di una vera e propria «provocazione per l’industria vinicola europea». Dopo di lui è stata la volta di Jean-Marie Fabre, presidente dei Vignerons Indépendants de France, che ha parlato di “frustrazione” per un “sussidio” a favore di un settore di un Paese che non è membro dell’Unione Europea.

L’indignazione italiana

Ovviamente sono moltissime le personalità del mondo italiano che stanno rilasciando dichiarazioni: dal Consorzio dell’Etna Doc («Finanziare il vino sudafricano è un paradosso politico. L’Europa tradisce la propria agricoltura») all’ex Ministro dell’Agricoltura Gianmarco Centinaio («Bruxelles sta le imprese vitivinicole italiane o con la concorrenza sudafricana?»), da Luigi Scordamaglia di Filiera Italia («È del tutto incomprensibile e inaccettabile che la Commissione dia seguito ora a impegni in tal senso») a Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi («Si tratta di un atto politicamente miope, economicamente ingiustificabile e moralmente lesivo della dignità del lavoro agricolo e della cultura del vino in Europa»).

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