Nelle stanze di Moët per assaggiare Impérial e due Rosé

Nelle stanze di Moët per assaggiare Impérial e due Rosé

Degustazione dei prodotti più noti della Maison Moët&Chandon, guidata dallo chef de cave Benoît Gouez, che si è aperto al racconto, anche tecnico, di quel che accade a casa di un grande protagonista di Champagne.

C’era una volta la Champagne delle Maison misteriose. La reticenza sugli aspetti tecnici veniva giustificata con il desiderio di trasmettere piuttosto lo stile, il “mondo” al quale il consumatore poteva (aveva l’illusione di) accedere bevendo Champagne. Resistono alcuni casi, ma siamo rimasti piacevolmente sorpresi durante l’ultima presentazione Moët&Chandon, guidata da Benoît Gouez, in Moët dal 2005, eletto “miglior chef de cave” di Champagne nel 2013. Finalmente siamo entrati nelle segrete stanze del mito, di cui pare si stappi una bottiglia al secondo.

Lo chef de cave Benoît Gouez

Impérial ovvero l’icona

Primo assaggio, una delle cuvée più famose del mondo: Brut Impérial. Non la degustavamo professionalmente da anni. È un prodotto equilibrato e completo. Al naso presenta note di mela e pera mature, con acidità molto alta sostenuta da un dosaggio abbondante (ma ci aspettavamo una mano più pesante). Al palato esprime un frutto intenso e vivace, palato seducente, savoureux, lo definisce Gouez, cioè “gustoso”.

Uno Champagne modello

«Dev’essere uno stile universale», spiega l’enologo. «Deve accontentare tutte le aspettative ed essere seduttivo».
Lo stile è riduttivo, in senso enologico, con note fresche ben preservate. Il vino base svolge la malolattica, per ammorbidire l’acidità, e nella cuvée di Chardonnay e Pinot noir c’è posto anche per il Pinot Meunier per esprimere più frutto nel medio palato. Le uve provengono «da molti villaggi, e se fosse possibile prenderei uve da tutte le zone» dice Gouez, intendendo che l’Impérial vuol essere un’espressione davvero a tutto tondo della Champagne. Nel vino sono presenti riserve, per lo più giovani con 2-3 anni alle spalle «perché non devono portare ossidazione ma maturità». Infine, il dosaggio è ai livelli bassi del Brut (che ricordiamo ha uno spettro medio tra i 6 e i 12 grammi/litro).

Un momento della degustazione

Rosé Impérial e l’ordine di Napoleone

Il Rosé di Moët&Chandon non è un’invenzione recente che segue l’onda del successo dei rosati. Negli archivi di casa è stato rinvenuto un ordine del 1801, registrato da Jean-Remy Moët, da parte di Napoleone Bonaparte e della madre, Letizia, per un quantitativo di 100 bottiglie di “Rozé”. Ordine che implicitamente retrodata l’esistenza del rosé nelle cantine di famiglia almeno al 1796. Inoltre, Benoît Gouez ha rinvenuto in azienda una bottiglia datata 1878. “«Nel passato il Rosé era prodotto solo nelle annate migliori», spiega Gouez, «perché la maggior parte delle volte non si riusciva a ottenere un buon vino rosso, da uve mature. Oggi tra innalzamento delle temperature e conquiste della tecnica in vigna, è tutto diverso».

Nato 25 anni fa, è sempre attuale

La versione che assaggiamo ora è nata 25 anni fa sotto la regia dell’enologo precedente, Dominique Foulon, che cercava un nuovo stile che si ponesse tra i due classici: i rosé vinosi di grande struttura, gastronomici, e quelli molto leggeri e freschi. Ha intensità di colore e di aroma, con morbidezza al palato. Una delle tecniche usate per raggiungere questo risultato è l’uso della termovinificazione: le uve diraspate sono portate alla temperatura di 70°C, si estraggono gli antociani (colore) che vengono diffusi rapidamente nel succo, ma senza tannini. Anche qui siamo di fronte a uno stile riduttivo con note tioliche: agrumi, ananas, tocco erbaceo, radice di rabarbaro. Morbido ma non dolce (7 g/L di residuo zuccherino).

Grand Vintage Rosé 2012, la complessità positiva

Davvero un rosé convincente, complesso e intenso, con sensazioni di uva matura e pane nero.  «I vini da uve nere, soprattutto Meunier», spiega Gouez, «sono riusciti particolarmente bene nel 2012; per questo motivo costituiscono la parte preponderante dell’assemblaggio». La componente di rossi miscelata con l’assemblaggio bianco (ricordiamo che in Champagne è consentito mescolare vini bianchi e rossi) è costituita unicamente da Pinot noir. Le uve sono raccolte solamente nei vigneti migliori, tutti Premiers Crus e Grands Crus: quelli di Aÿ portano eleganza, quelli di Bouzy e Verzenay potenza. 

2012, un’annata complicata

Per questo millesimato si cercano tannino, struttura, vinosità e potenziale d’invecchiamento, affinché possa brillantemente reggere i 10 anni in cantina. «L’annata 2012 è stata un incubo», ammette Gouez. «Nella prima parte abbiamo avuto gelate primaverili, oidio e peronospora, botriti, grandine… praticamente l’intero manuale delle disgrazie». Ma alla fine la bassa quantità combinata con il settembre caldo, asciutto e arioso, e notti fresche (che hanno tenuto acidità) hanno portato a vini equilibrati. «Come stile si pone tra la 2008 (molto fresca, e uve poco mature) e la 2009 (calda, con bassa acidità)». Ha struttura e freschezza.

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© Riproduzione riservata - 30/06/2020

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