Masseria Falvo: progetto bio alle falde del Pollino

Masseria Falvo: progetto bio alle falde del Pollino

L’azienda vinicola dei fratelli Falvo è nata agli inizi degli anni Duemila a Saracena (Cosenza) e si avvale della consulenza dell’enologa Graziana Grassini. Al centro della produzione ci sono le antiche uve locali, come il Magliocco e la Guarnaccia bianca, valorizzate all’interno di etichette che sfidano il tempo.

Il comprensorio della Doc Terre di Cosenza è un luogo dai forti contrasti paesaggistici: il massiccio del Pollino con le sue vette e le sue gole mozzafiato; la fertile piana di Sibari con le distese di ginestre selvatiche e i resti dell’omonima città della Magna Grecia; e, ancora, le specie di flora e fauna endemiche, come il pino loricato e la lontra del fiume Argentino.
Qui, nel comune di Saracena celebre per l’omonimo Moscato, sorge Masseria Falvo 1727.

Un ritorno alle origini di famiglia

«La proprietà appartiene alla mia famiglia da quasi tre secoli», spiega Ermanno Falvo, alla guida aziendale con il fratello Pier Giorgio e le rispettive mogli Gabriella ed Elena. «Il 1727 è l’anno in cui è stata edificata la casa patronale, ma la decisione di dedicarci al vino è storia recente, risale all’inizio degli anni Duemila. Io e Pier Giorgio non nasciamo viticoltori: abbiamo entrambi studi di ingegneria alle spalle, mentre le nostre compagne sono laureate in Chimica. Dopo la morte dei nostri genitori, però, abbiamo sentito il bisogno di “ritornare alla terra”, di riabbracciare questo angolo di paradiso che abbiamo il privilegio di chiamare casa». Entusiasti winelover, i fratelli Falvo hanno scelto di lanciarsi nella produzione enologica anziché nella più comune coltivazione degli agrumi. «Per farlo ci siamo avvalsi di una consulente di fama internazionale, l’enologa Graziana Grassini, che ci accompagna in questo percorso complesso e appassionante, stimolandoci a credere sempre di più nelle potenzialità del terroir e delle sue uve».

Ermanno Falvo con la moglie Gabriella e l’enologa Graziana Grassini


Custodi di un territorio e delle sue uve

Il patrimonio della famiglia Falvo si compone di 26 ettari di vigneti tutti in collina, tra i 300 e i 500 metri di altitudine. Gli appezzamenti si trovano alle falde del Pollino, con il mare di Sibari sullo sfondo, a 15 chilometri di distanza in linea d’aria. «La zona è vocata alla viticoltura da oltre 3 mila anni, come testimonia lo storico greco Strabone. Noi ci consideriamo custodi del paesaggio e abbiamo recuperato e reimpiantato quei vitigni autoctoni le cui origini si perdono nella memoria, in primis la Lagrima del Pollino, ovvero il Magliocco dolce (o più semplicemente Magliocco) e il Moscatello di Saracena, ma anche la Guarnaccia bianca e la Malvasia bianca. Lavoriamo il suolo seguendo le regole dell’agricoltura biologica e coltiviamo solo una parte dei nostri terreni: il resto è lasciato a macchia mediterranea, cercando di preservare in più possibile il naturale equilibrio ambientale».

Garga, Costa Cappello e Scarpone: a ogni varietà il suo vigneto

Lo stesso approccio sostenibile contraddistingue le operazioni di cantina, dove si preferiscono tecniche poco invasive e un uso ridotto dei solfiti, salvaguardando l’autenticità della materia prima.
La produzione è equamente divisa tra uve bianche e rosse. La maggior parte degli impianti risalgono al 2005 e sono a cordone speronato. «Nel vigneto Garga, 10 ettari nell’omonima valle, crescono le viti di Guarnaccia bianca e Moscatello di Saracena che traggono sapidità e freschezza dai terreni argillosi». Il vigneto Costa Cappello, invece, si estende per 4 ettari con vista sulla piana di Sibari e sul mare. «I suoli ghiaiosi e l’ambiente siccitoso ne fanno il regno della Malvasia bianca, che trova le condizioni ideali per raggiungere la sua grande forza aromatica». E, infine, i 12 ettari del vigneto Scarpone, ai confini del Parco del Pollino: «Si tratta di una delle zone più vocate della Doc: qui il Magliocco ha nel terreno calcareo e sciolto la sua culla naturale».

Le vasche d’acciaio dove affinano i vini

Donna Filomena, tipico di nome e di fatto

La Guarnaccia bianca, localmente detta Minn’i vak (mammella di vacca) è una varietà molto prolifica, storicamente utilizzata insieme al Moscatello per la produzione del Moscato di Saracena. «In realtà i vecchi contadini la adoperavano anche per tagliare il Magliocco, allo scopo di addolcirne i tannini», precisa Ermanno Falvo. «Negli anni abbiamo intrapreso un attento lavoro di studio e recupero che ci ha portato per primi a vinificare quest’uva in versione ferma e in purezza». Donna Filomena, Terre di Cosenza Doc è un vino dai profumi di fiori bianchi, cui seguono eleganti note fruttate. Dopo una pressatura soffice, la vinificazione avviene in acciaio dove il vino resta ad affinare 8 mesi. «In passato il Donna Filomena era un blend di Guarnaccia bianca, Riesling, Traminer e Malvasia; poi la scelta di vinificare solo la Guarnaccia bianca, per evidenziare al massimo la sua tipicità». L’etichetta è un omaggio al nome tradizionale femminile di famiglia.

I cani di famiglia scorrazzano tra i filari

Ejà, il nuovo bianco di Masseria Falvo capace di stupire

Tutti i bianchi di Masseria Falvo – come il Pircoca (Guarnaccia, Malvasia bianca, Riesling e Traminer) e Spart (Malvasia bianca) – non fanno passaggio in legno e vengono messi in commercio dopo un anno dalla vendemmia. «Lo scorso 2 marzo lo scenografico Castello Svevo di Cosenza ha ospitato una masterclass aziendale condotta dal direttore di Civiltà del bere Alessandro Torcoli. Durante l’incontro abbiamo presentato per la prima volta Ejà, Terre di Cosenza Doc 2013, blend di Guarnaccia bianca (65%) più Riesling, Traminer e Malvasia. È un bianco complesso, maturato ben 6 anni sulle fecce fini. Ha i profumi del territorio, dalla zagara alla radice di liquirizia, mentre al palato rivela grande acidità, persistenza ed equilibrio. Ci ha impressionato per la grande longevità. Ejà è un’espressione dialettale calabrese che indica appunto grande stupore e meraviglia».

Arrivano i rossi!

La capacità di sfidare il tempo contraddistingue anche il Don Rosario, Riserva Terre di Cosenza Doc a base di Magliocco. «In questo caso la fermentazione avviene in acciaio, dove il vino riposa per 24 mesi, cui fanno seguito altri 2 anni di invecchiamento in tonneau nuovi. È un rosso emblematico, che testimonia la grandezza e la versatilità del Magliocco, un vitigno in passato ingiustamente trascurato e oggi finalmente protagonista di un’interessante riconsiderazione su scala nazionale e non solo». Nella gamma dei rossi a base Magliocco c’è posto anche per la Riserva Graneta, che resta 6 mesi in tonneau di rovere e 2 anni in acciaio. «Ha il colore del melograno e profumi di ciliegia e radice di liquirizia: un’altra fedele espressione del nostro terroir».
Da ricordare anche Cirês, un nuovo rosso da bere giovane, delicato e piacevole grazie a una pressatura soffice e una sosta di 2 mesi in acciaio e 2 in bottiglia.

La bottiglia di Milirosu


Milirosu, il Moscato di Saracena di Masseria Falvo

Dulcis in fundo, Milirosu: l’interpretazione della famiglia Falvo dell’antico Moscato di Saracena. «Il mosto di Guarnaccia e di Malvasia, concentrato per ebollizione, viene unito al mosto del Moscato, le cui uve sono lasciate appassire qualche settimana in cantina. La lenta fermentazione e l’affinamento avvengono esclusivamente in acciaio, protraendosi per 2 anni». Solo 3 mila bottiglie per un passito da meditazione ricco e avvolgente, che conserva una raffinata freschezza.

Realizzato in collaborazione con Masseria Falvo 1727.

Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 2/2020. Acquista

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© Riproduzione riservata - 24/06/2020

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