In Italia In Italia Luciano Ferraro

Per 15 punti (%) Martin perse la cappa

Per 15 punti (%) Martin perse la cappa

È vero che “dalla radice della vite al consumatore, passando per il terroir, il vitigno e il produttore, la strada è tortuosa e piena di ostacoli”. Lo scrive Bernard Burtschy, nella prefazione del libro Il vino capovolto, firmato, per i tipi di Porthos edizioni, da Jacky Rigaux e Sandro Sangiorgi. Martin Foradori non si aspettava, però, che “l’avventura del vino” fosse così piena di tortuosità come nella vicenda del cambio di disciplinare di produzione della Doc Alto Adige.

La battaglia di Martin Foradori

Eletto al consiglio comunale di Termeno nella fila dell’Svp (Südtiroler Volkspartei) assicurando in campagna elettorale la rinuncia alle indennità (“270.000 euro in cinque anni, un gesto concreto per aiutare il Paese”), Foradori è il vicepresidente del Consorzio Vini Alto Adige e, soprattutto, il timoniere di Hofstätter, Cantina tra le più note della provincia di Bolzano. Da mesi è così concentrato nella battaglia contro il cambio di disciplinare da parlarne sempre e ovunque, quando presenta i suoi vini, quando pranza con gli amici e forse anche quando rientra in famiglia. L’ossessione è tutt’altro che ingiustificata perché la nuova norma consente di aggiungere il 15% di vino di una sottozona in quello di un’altra.

Il 15% fa la differenza

Nel Pinot bianco “montano” della Val Venosta può finire ad esempio quello “cittadino” di Bressanone, senza l’obbligo di dichiararlo in etichetta. La zona di produzione da indicare, secondo le regole introdotte, è solo quella prevalente. Per chi come Foradori (e altri produttori come lui), da anni punta tutto sui vini di terroir, equivale a una distorsione, a un documento d’identità contraffatto, a un certificato di provenienza incompleto. «Che nasconde la volontà di lasciar spazio a vini diversi, più tecnici, più al servizio del gusto dominante. Questa nuova regola», dice Foradori, «dà mano libera alle correzioni in cantina, porta al livellamento industriale dei vini».

La scelta è del singolo produttore

Come ribatte Georg Höller, presidente di Cantina Terlano e membro del consiglio di amministrazione del Consorzio, le carte sono in regola. C’è una leggina europea che consente la mescolanza usando il 15% del vino di una microzona. «L’assemblea ha approvato la modifica del disciplinare a grande maggioranza, l’84%, ora spetta ai singoli produttori decidere se avvalersi o no della nuova normativa», ha spiegato Höller a Francesca Negri del Corriere dell’Alto Adige.

La modifica al disciplinare Alto Adige Doc

Vediamole le carte “in regola”. Nel secondo paragrafo dell’articolo 5 del disciplinare era già consentito “l’aumento del titolo alcolometrico ed altre pratiche correttive e l’aggiunta di mosti e vini di colore analogo ed anche di annate diverse appartenenti alla denominazione Alto Adige, nel limite massimo del 15%”. Due paragrafi dopo la novità: l’aggiunta di mosti e vini è possibile per quanto riguarda le sottozone “se almeno l’85% del vino proviene dalla sottozona indicata”. Stessa regola per le menzioni geografiche aggiuntive.

Meglio la costanza espressiva o la purezza del singolo terroir?

La modifica è stata approvata direttamente dall’assemblea del Consorzio, e non dal Cda. In una provincia con 5.300 ettari vitati, pari a circa lo 0,85% del vigneto Italia, c’era bisogno di una svolta che permette aggiustamenti in cantina per le sottozone? Quelli come Foradori sono convinti che non solo non serva, anzi sia controproducente. Perché così non si garantisce, dicono, la purezza dell’espressione di un vino e del suo territorio e si punta invece a trovare costanza espressiva annata dopo annata, attraverso i dosaggi dell’assemblaggio.

Come finirà?

I dissidenti, quel 16% che non si è accodato alla maggioranza, potranno insistere nelle prossime riunioni del Cda del Consorzio e sperare che il ministero dell’Agricoltura non dia il via libera al nuovo disciplinare. La spunteranno? Comunque vada, vincitori e vinti possono trovare ispirazione dalle idee di Jacky Rigaux: “Con il risveglio del terroir, l’enofilo torna in scena alla ricerca di vini autentici, di vini che hanno il volto del luogo dove sono nati”.

L’articolo è tratto da Civiltà del bere 4/2017. Per leggere la rivista, acquistala sul nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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© Riproduzione riservata - 15/09/2017

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