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Marchesi di Barolo: la storia

20 Aprile 2010 Roger Sesto
Marchesi di Barolo è un’altra di quelle aziende che hanno fatto la storia del re dei vini, e una fra le poche che ha nella sua cantina uno stock di decine di annate, in gran parte a listino. Un vero monumento a questa grande griffe di Langa, la cui splendida enoteca impone una visita. Due chiacchiere con Ernesto Abbona, il titolare, ci svelano alcuni importanti aspetti. «In 30 anni abbiamo assistito a un’evoluzione importante nella tecnica di vinificazione del Barolo. Fino agli anni Settanta, la fermentazione era spontanea, promossa da lieviti indigeni. Non esistevano controlli della temperatura. La macerazione si protraeva molto a lungo, anche fino a tre mesi. La malolattica era un processo poco conosciuto e spontaneo. I vini appena ottenuti si presentavano particolarmente tannici, per cui l’affinamento in grandi botti durava tre-cinque anni o più. Dagli anni Ottanta è iniziata la necessità di produrre vini più morbidi, freschi, meno ossidati e più internazionali, che ha spinto al ricorso dei lieviti selezionati, al controllo delle temperature di fermentazione, a macerazioni più brevi, così da estrarre i tannini più morbidi della buccia a sfavore di quelli aggressivi dei vinaccioli, rendendo 18 o 24 mesi di affinamento in legno più o meno grande sufficienti ad armonizzare il vino». Ci spiega che l’annata 1958 e la 1971 del Barolo Riserva sono due grandi millesimi prodotti con le vecchie tecnologie, mentre il 1985 e il 1990 con tecniche moderne. Ci dice: «Tutte le grandi annate sono quasi sempre il risultato di estati e soprattutto autunni caldi e asciutti: il 1961 è stato così, con la raccolta dell’uva decisamente anticipata e con temperature quasi estive. Anche il millesimo 1964 ha avuto un’estate calda, asciutta e ventilata. Nel 1978 le cose sono andate in modo differente: iniziato il germogliamento tardi per un inverno particolarmente freddo, vi sono stati danni quantitativi per alcune gelate tardive, oltre a piogge costanti nei mesi di maggio e giugno, riducendo la quantità di uva a volte al di sotto di metà produzione. L’uva però ha goduto di un ottobre mite e asciutto, e la vite, che aveva ormai solo pochi grappoli, è riuscita a maturarli perfettamente a fine ottobre. Da subito ricco di estratto e polifenoli, il vino si presentava però con un’acidità molto elevata, che con tannini in gran quantità lo rendeva aspro e astringente. Ci sono voluti una decina di anni per diventare vellutato e austero, e solo dopo questo tempo il longevissimo 1978 è risultato realmente grande. Il 1989 ha avuto un andamento climatico a tratti simile, sebbene estate e autunno siano stati un poco più clementi, ma niente a che vedere con il 1961 e 1964. Un vino per queste ragioni nato importante ed equilibrato, da taluni ritenuto superiore al 1990. Poi ci sono le annate minori, che però si sono rivelate col tempo piacevoli sorprese, come la 1966, la 1973 e la 1979».

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