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Le interviste dell’8 marzo: Albiera Antinori, presidente di Antinori, Gruppo vino Federvini e Consorzio Bolgheri Doc

Le interviste dell’8 marzo: Albiera Antinori, presidente di Antinori, Gruppo vino Federvini e Consorzio Bolgheri Doc

In occasione della Festa della Donna abbiamo deciso di pubblicare tre interviste a figure femminili che ricoprono un ruolo di primo piano del mondo del vino. Ecco cosa ci ha raccontato Albiera Antinori, alla guida di Marchesi Antinori e del Gruppo vino di Federvini.

«Lavorare in modo sostenibile per lasciare ai nostri figli una terra più ricca e pulita è il dovere di chi produce vino. E le donne, che naturalmente sono più sensibili verso le nuove generazioni, possono giocare un ruolo importante per il presente e il futuro». Ha le idee chiare Albiera Antinori, presidente di Marchesi Antinori, del Gruppo vino di Federvini e del Consorzio per la tutela dei vini Doc Bolgheri e Bolgheri Sassicaia. Da oltre 35 anni una presenza di spicco nel panorama enologico italiano. Una donna, che insieme alle due sorelle Alessia e Allegra, ha raccolto il prestigioso testimone di famiglia e promosso l’eccellenza del made in Italy nel mondo.

Che vino si è versata nel bicchiere per la nostra intervista?

Sto bevendo un Cervaro della Sala. Per me rappresenta un ricordo degli inizi: è infatti il primo vino sul quale ho lavorato quando è cominciata la mia carriera nel 1986. Avevo 19 anni, appena finita la maturità sono stata catapultata in questo mondo vivendo la mia prima vendemmia.

Com’è si è evoluta da allora sua visione del vino?

Dopo tante esperienze oggi vedo una parte più ampia di questo universo e delle sue opportunità. Temi come il digitale, l’e-commerce e quello che sta succedendo nel metaverso sono argomenti e sfide affascinanti da analizzare, anche se oggi non si ha una visione ancora chiara di canali e mondi che non siano tradizionali. Una cosa è aprire un nuovo mercato, un’altra è riconoscere o immaginare le potenzialità degli strumenti virtuali. Magari saranno la chiave per il business del futuro, o forse strade che per il vino non portano da nessuna parte. Ma tutto quello che succede e che è successo negli ultimi anni ci impone di essere aperti alle novità.

Quali sono state le tappe fondamentali della sua carriera?

Una delle esperienze più significative è stata quella alla Prunotto, tenuta piemontese di Antinori. Dal 1994, per cinque anni, me ne sono occupata in modo piuttosto indipendente dalla casa madre. È stata l’occasione per mettere insieme tutti i pezzi di un’attività complessa come la gestione di una cantina, che abbracciano la sfera viticola e produttiva ma anche la finanza e il marketing.
Altra tappa centrale del mio percorso è stata la direzione del progetto di costruzione delle nuove cantine aziendali. Mi riferisco in particolare alla sede nel Chianti Classico, ultimata nel 2012, che rappresenta uno step anche culturale per la nostra realtà: è stata la prima nostra struttura visitabile dal pubblico, e aprire le porte ai visitatori ha segnato una piccola grande rivoluzione per il settore.

Rispetto a 35 anni fa, quando lei ha iniziato il suo percorso, quanto è diverso il ruolo della donna oggi in questo settore?

Quando ho iniziato non c’erano molte donne che lavoravano nel mondo del vino. Oggi, fortunatamente, sono tantissime. Pur in ritardo rispetto ad altri ambiti, anche il mondo agricolo col tempo si è aperto e ha allargato i propri orizzonti. E poi è una realtà fortemente connessa con la terra e con le tradizioni, fatta di aziende familiari portate avanti per generazioni. Come è successo a me e le mie sorelle, che oggi siamo presidente e vicepresidenti di Marchesi Antinori, tante donne senza fratelli maschi hanno scelto di continuare il lavoro dei propri predecessori.
Negli ultimi 20 anni almeno poi sono stati fatti passi da gigante nell’apertura a posizioni di rilievo all’interno delle istituzioni e delle singole realtà vinicole italiane. E la realtà è cambiata anche per merito della preparazione che oggi hanno le professioniste del vino. Se negli anni Ottanta esisteva un gap di formazione accademica con gli uomini, oggi non è più così. La generazione successiva alla mia, di cui fa parte anche mia figlia che pure ha scelto questa strada, ha la possibilità di costruirsi un percorso accademico e una preparazione adeguata ad affrontare le sfide del settore. Lo sta facendo e ha il dovere di farlo.

Nella sua esperienza lavorativa quali sono stati gli ostacoli che lei ha dovuto affrontare in quanto donna? Ci racconta un aneddoto?

Io non ho sofferto molto il fatto di essere donna. Ho patito di più per la mia giovane età e la mia inesperienza agli albori della mia carriera. Ma anche a me è capitato di imbattermi in personaggi con una visione un po’ chiusa. Quando lavoravo nelle Langhe mi è successo di andare a trovare potenziali clienti, vecchi vigneron piemontesi tradizionalisti, che non gradivano molto che la loro interlocutrice fosse una giovane donna toscana. Diciamo che più di una volta è successo che chiamassero il giorno dopo per dire che avevano cambiato idea sui contratti in ballo.

Ricopre una posizione di vertice del “Gruppo vino” di Federvini. Cosa vuol dire questo ruolo nel mondo del vino e che significato ha per lei che sia una donna su questa sedia?

Dev’essere arrivato il momento delle donne. Federvini è presieduta da una donna e anche il Consorzio Bolgheri e Bolgheri Sassicaia, che presiedo io, ha una vicepresidente donna. Del resto la presenza femminile è sempre più capillare e rilevante all’interno delle Cantine italiane e dopo anni di esperienza essere chiamate a ricoprire ruoli rilevanti anche nelle istituzioni del vino, associazioni di categoria o consorzi, e indicare una strada da seguire per mantenere alto il vessillo del vino di qualità diventa un processo naturale.
Sono convinta che ricoprendo questi ruoli una donna possa contribuire a promuovere una visione più orientata al futuro. L’istinto materno porta con sé una maggiore sensibilità per le generazioni successive, che nel nostro ambito si tramuta nella voglia ancora maggiore di lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi una terra più pulita e un patrimonio fatto di pratiche sostenibili.

Scampato il pericolo di bollini demonizzatori e “health warnings”, dall’Ue arrivano comunque inviti ad esibire indicazioni di “moderate and responsible drinking information”. Com’è cambiata oggi la comunicazione del vino?

Che ci siano dei venti “pericolosi” che provengono dai Paesi del Nord Europa, che non hanno la nostra cultura enogastronomica, è un’evidenza. Questa volta abbiamo scongiurato il pericolo di bollini neri, ma il tema certamente è destinato a tornar fuori.
Il mondo del vino deve insistere nella comunicazione della sua identità, della sua storia, della sua tradizione. E soprattutto sul concetto di consumo responsabile e di qualità. Un sentiero già imboccato da tempo con operazioni come “Wine in Moderation” (programma paneuropeo con l’obiettivo di informare il grande pubblico sui rischi sociali e sanitari legati al consumo scorretto ed eccessivo degli alcolici, ndr) e da tutte le altre campagne che difendono il ruolo del vino nell’alimentazione. C’è bisogno che questo approccio venga diffuso da parte tutti gli attori della filiera, e che il messaggio arrivi ai consumatori italiani e internazionali.

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© Riproduzione riservata - 08/03/2022

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