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La straordinaria memoria del Cabernet Sauvignon

4 Dicembre 2025 Anita Franzon
La straordinaria memoria del Cabernet Sauvignon
© A. Klein - Unslpash

Secondo uno studio dell’Università della California Davis, le viti attuali sono geneticamente quasi identiche alle loro antenate del XVII secolo. È la spiegazione scientifica della capacità di mantenere caratteri e qualità così costanti nel tempo e nello spazio di questo celebre vitigno bordolese

Frutto di un incrocio avvenuto 400 anni fa tra Cabernet Franc e Sauvignon blanc, il Cabernet Sauvignon conserva ancora la chiara memoria genetica dei suoi genitori. Lo conferma un recente studio dell’Università della California, Davis, secondo cui ogni vite dell’uva da vino oggi più diffusa al mondo sarebbe geneticamente quasi identica alla pianta originale proveniente dalla regione francese di Bordeaux, dove è coltivato almeno dal XVII secolo.

Le incredibili doti del Cabernet Sauvignon

Non è un caso che il Cabernet Sauvignon, tra le cui doti si possono apprezzare i marcati e intensi aromi, sia così diffuso nelle più rinomate regioni vitivinicole di tutto il mondo. Ora la scienza è finalmente in grado di spiegare perché questo vitigno sia in grado di mantenere caratteri e qualità così costanti nel tempo e nello spazio. La risposta è apparentemente piuttosto semplice: l’uva ricorda e conserva per secoli la memoria delle proprie origini trasmettendola alle nuove generazioni.

La prova della persistenza dei tratti epigenetici

Per anni i ricercatori si sono chiesti se gli interruttori chimici che regolano l’attivazione dei geni – i cosiddetti marcatori epigenetici – potessero rimanere stabili attraverso centinaia di anni di riproduzione. La nuova ricerca guidata dal professor Dario Cantù del Dipartimento di Viticoltura ed Enologia dell’UC Davis e pubblicata sulla rivista Genome Biology, dimostra che è proprio così. Si tratta della prima prova scientifica a dimostrazione che i tratti epigenetici possono persistere per secoli in una coltura propagata per via clonale.

La spiegazione risiede nel metodo di propagazione della vite

A differenza di colture come il mais o il grano che si riproducono per seme, la vite viene propagata per talea e ogni nuova vite è, di fatto, un clone del suo antenato: «A pensarci bene, è insolito rispetto alla maggior parte delle colture che vengono continuamente migliorate attraverso il breeding (ovvero per riproduzione selettiva, ndr)», ha affermato Cantù. «Si tratta di modifiche che non alterano il codice genetico in sé, ma si sovrappongono a esso». Lo studio mostra come le piante clonali possano presentare piccole differenze da una vite all’altra, ma i loro modelli epigenetici di base – la loro memoria genica – rimangono straordinariamente stabili.

Un metodo di ricerca innovativo

Il team ha usato avanzate tecniche di sequenziamento del genoma per valutare la stabilità delle modifiche epigenetiche che possono influenzare caratteristiche come la qualità del frutto e la tolleranza allo stress: «È come sequenziare due gemelli omozigoti a 90 anni e rilevare comunque le firme parentali che hanno ereditato, nonostante le loro esperienze e gran parte del loro epigenoma siano cambiati con l’età», ha spiegato Cantù. Per arrivare a questi risultati, gli scienziati hanno assemblato mappe genomiche estremamente dettagliate del Cabernet Sauvignon e dei suoi genitori, analizzando diversi cloni di ciascun vitigno. Hanno quindi sviluppato un modello altamente sofisticato in grado di individuare anche le più sottili variazioni genetiche ed epigenetiche con una precisione superiore rispetto agli strumenti tradizionali.

Nuovi indizi a favore della resilienza climatica

Questa scoperta non serve solamente a capire il passato del vitigno, ma apre scenari promettenti per comprendere come le colture si adattino all’ambiente e se tali adattamenti possano lasciare tracce molecolari stabili e durature. Cantù ha osservato che se alcune risposte epigenetiche al calore, alla siccità o ad altri stress ambientali si dimostrassero stabili, potrebbero diventare obiettivi di selezione. «Se riuscissimo a sapere quali cambiamenti epigenetici indotti dallo stress persistono, potremmo potenzialmente introdurli esponendo le piante a condizioni specifiche e selezionare vitigni che mantengano tali tracce benefiche a lungo termine, senza alterare il loro patrimonio genetico e preservando i tratti distintivi di ciascuna varietà», spiega il ricercatore. Gli scienziati possono così studiare come orientare i programmi di miglioramento genetico a favore della resilienza e della qualità. Lo stesso quadro genomico potrebbe, inoltre, trovare applicazione ben oltre l’uva da vino, offrendo un nuovo modo per identificare marcatori molecolari stabili in altre colture perenni.

UC Davis: una lunga tradizione di scoperte rivoluzionarie

La scoperta ha, inoltre, un valore storico per l’UC Davis. Nel 1997, Carole Meredith, professoressa e genetista della stessa università californiana, identificò per la prima volta Cabernet Franc e Sauvignon blanc come i genitori del Cabernet Sauvignon. Quasi trent’anni dopo, il team di Cantù dimostra che l’uva porta ancora tracce molecolari di quell’accoppiamento ancestrale. «Questo lavoro collega una scoperta rivoluzionaria dell’UC Davis a un primato assoluto per l’UC Davis», conclude il professore.

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