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La lezione della birra al vino

La lezione della birra al vino

Ospitiamo un’altra interessante analisi del nostro amico americano Mike Veseth, aka The Wine Economist, che si cimenta in un parallelismo tra i mondi del vino e della birra.

Vino e birra sono diversi per molti aspetti (pensiamo ad esempio al processo di produzione, alla dimensione delle aziende e all’organizzazione del settore), ma hanno anche alcuni punti in comune, specialmente se guardiamo al “grande mercato” della fascia media del vino. Dunque, Mike si (e ci) domanda:

Cosa può imparare il vino dalla birra in un mercato stagnante?

È difficile individuare delle tendenze precise nell’attuale mercato vinicolo e bisogna ammettere che c’è la crescente preoccupazione che il consumo globale di vino abbia raggiunto il plateau. Questo non è un fenomeno nuovo, lo avevo già sottolineato nel gennaio 2019, quando ho scritto “Global wine’s lost decade.”

Sfruttare i segmenti di mercato in crescita

Dove trovare la crescita in un mercato stagnante? Una strada è sfruttare l’evidenza che esistono sempre alcuni segmenti di mercato in crescita. I produttori flessibili seguiranno il flusso di denaro, investendo dove vedono la crescita, cercando di sottrarre quote di mercato da altre categorie di alcolici, con un’altra strategia naturalmente. Il vino però soffre di uno svantaggio di costo, che risulta essere superiore rispetto a quello della birra o degli altri alcolici.

Birra in vantaggio rispetto al vino

Quindi cosa si deve fare? Un recente rapporto di Rabobank sulla birra nel mondo fornisce spunti di riflessione su cosa aspettarsi per il vino. La birra? Cosa può imparare il vino dalla birra? Beh, la birra ha raggiunto per prima un plateau di vendite e quindi ha avuto più tempo per sviluppare soluzioni. Rabobank‘s Beer Quarterly Q3 2021: The Beer Wars analizza la risposta dell’industria birraria alla domanda stagnante in termini di diverse strategie adottate in Giappone, Stati Uniti ed Europa.

I fattori che hanno sconvolto il mondo della birra

Secondo il rapporto Rabobank, l’industria della birra giapponese ha affrontato la crisi prima di quella di Stati Uniti e Europa, e quindi ha avuto più tempo per trovare nuove vie di crescita. A partire dagli anni ’80, il mercato birrario è stato sconvolto da una combinazione di fattori come transizione generazionale (i consumatori più giovani si sono allontanati da quella che vedevano come la birra del nonno), sconvolgimento del mercato (l’aumento dei minimarket e le vendite dei distributori automatici) e l’avvento di una nuova concorrenza sotto forma di chuhai, cocktail ready to drink.

La strategia di diversificazione della birra giapponese

I produttori giapponesi hanno reagito in molti modi, che includono il successo dell’innovativa Asahi Super Dry, ma la strategia principale che il rapporto Rabobank identifica è la diversificazione in altre linee di prodotto. I birrifici giapponesi hanno compensato la stagnazione o il calo delle vendite pro capite espandendosi in altri mercati, dalla tecnologia di produzione, ai prodotti farmaceutici, agli integratori alimentari, dove i punti di forza esistenti potevano essere sfruttati. Il processo è stato lento, suggerisce il rapporto, e ha richiesto notevoli investimenti.

Parallelismi tra industria del vino e della birra

È facile vedere in parallelo l’industria del vino e i problemi che la birra giapponese ha affrontato. Transizione generazionale? Percorsi di mercato mutevoli? Alternative facili da bere come gli hard seltzer di oggi. Constellation Brands ha diversificato nel settore delle bevande alcoliche, attraverso il business della birra messicana e ha iniziato a muovere i primi passi anche nella cannabis. LVMH ha a lungo perseguito una strategia di diversificazione, infatti il suo business nel vino fa parte di un portafoglio di marchi di lusso in vari settori.

La birra statunitense segue i soldi

Una seconda strategia, che il rapporto Rabobank associa al mercato della birra statunitense, è l’espansione in altre categorie di bevande come il caffè e il tè pronti, le bevande energetiche, quelle sportive, gli hard seltzer e così via. Da una parte si possono sfruttare le economie di scala nella distribuzione delle bevande e il riconoscimento del nome derivato da marchi affermati; dall’altra sarebbe utile semplicemente seguire la crescita del mercato ovunque porti. MolsonCoors ha cambiato il suo nome in MolsonCoors Beverage per segnalare che non è più solo una società di birra.

Coca Cola sfrutta il suo nome

Ammetto che sono rimasto sbalordito nel vedere il caffè Pabst Blue Ribbon nella corsia della birra di Safeway, ma questo è coerente con questa strategia. Mi è tornato in mente quando, qualche anno fa, Coca Cola decise che poteva sfruttare il vantaggio comparativo della sua rete di distribuzione per entrare nel business del vino acquistando l’azienda vinicola Taylor’s (trasformandola in Taylor’s California Cellars) e la Sterling Vineyards della Napa Valley. La Coca Cola perse interesse per l’investimento dopo pochi anni, poiché i margini sul vino non potevano eguagliare i profitti delle bibite e vendette le azioni alla Seagrams. È facile vedere alcuni produttori di vino adottare questa strategia anche negli Stati Uniti, specialmente nel segmento delle conserve, dove vino, vari spritz di vino e prodotti hard seltzer riempiono gli scaffali.

M&A e internazionalizzazione della birra in Europa

Infine, il rapporto Rabobank identifica una strategia di M&A (fusioni e acquisizioni) e di internazionalizzazione che associa ai produttori di birra europei. Questa è la parte “go big” di “go big or go home”. I produttori di birra europei come Heineken e Carlsberg si sono evoluti in imprese con mercati e reti di produzione multinazionali. Heineken sta attualmente negoziando l’acquisizione del controllo della sudafricana Distell, il secondo produttore di sidro al mondo (dopo la stessa Heineken) e un importante produttore di alcolici e vino. Questa transazione espanderebbe ulteriormente l’impronta di Heineken in b, un mercato con un notevole potenziale di crescita. Il consolidamento è stato un importante tema recente anche nel business del vino. La scalata di Gallo dopo l’accordo con Constellation Brands è davvero incredibile. E penso che questa tendenza continuerà sia nella produzione che nella distribuzione del vino. Ma il pianeta vino è ancora abbastanza frammentato rispetto a quello della birra.

Cosa può imparare il vino?

La birra ha dovuto affrontare un mercato globale stagnante più a lungo del vino e ha sviluppato una serie di strategie per espandere il volume o far crescere i margini. Le grandi aziende vinicole hanno imparato la lezione dei loro colleghi dell’industria brassicola e hanno perseguito approcci simili, ma è ancora presto per il vino rispetto alla birra.
La birra può fornire spunti anche ai produttori di vino di medie dimensioni, che sono molti in tutto il mondo? Questo è meno chiaro perché il consolidamento, nel caso dell’industria brassicola, ha svuotato questo segmento di mercato.

Questo articolo fa parte de La Terza Pagina, newsletter a cura di Alessandro Torcoli dedicata alla cultura del vino. Ogni settimana ospita opinioni di uno o più esperti su temi di ampio respiro o d’attualità. L’obiettivo è stimolare il confronto: anche tu puoi prendere parte al dibattito, scrivendoci le tue riflessioni qui+
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© Riproduzione riservata - 24/09/2021

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