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Indicazioni di origine e protezione: sono un limite o una virtù?

1 Maggio 2024 Cristina Mercuri
Indicazioni di origine e protezione: sono un limite o una virtù?

Cristina Mercuri, diploma WSET e candidata MW, offre una sintesi delle denominazioni del mondo, paragonando tra loro i diversi sistemi. Mentre da noi si vuole preservare la qualità, Oltreoceano si punta a fare emergere il valore del brand.

La tutela della tradizione e del valore della storicità di certe denominazioni e dei vini da questi prodotti sono alla base dei disciplinari italiani ed europei. Nel 2009 la Ue ha istituito regolamenti per definire e controllare l’origine dei prodotti alimentari, vino incluso, attraverso la regolamentazione di Protected Designation of Origin (Pdo) e Protected Geografical Indication (Pgi). La varietà, la superficie, le regole di immissione al consumo e la definizione dei disciplinari sono diventati il “ginepraio” comune agli Stati membri. Ginepraio che in Italia, invece, vige da molti più anni. Basti pensare che già nell’800 Bettino Ricasoli definì la ricetta del vino Chianti.
Sebbene l’Italia sia abituata a legiferare in materia di vino, oggi la rete legislativa rischia di rendere immobile il settore e di far perdere competitività con i Paesi extra europei. La domanda da porsi è: il Vecchio mondo rischia di morire di vecchiaia? Per rispondere al quesito, uno sguardo ai principali sistemi di denominazione del mondo potrà consentire di analizzare pregi e difetti di Pdo e Pgi.

Il “ginepraio” italiano

Attualmente in Italia ci sono 78 Docg, 330 Doc e 118 Igt. Ogni vino a denominazione ha un disciplinare di produzione, che include i vitigni, la zona di produzione, le condizioni ambientali, la resa massima per ettaro, le caratteristiche organolettiche e il periodo minimo di invecchiamento. All’interno delle Docg la legge consente l’utilizzo di terminologie aggiuntive per particolari zone vocate, ma vieta l’utilizzo del termine cru. Ecco perché sempre più spesso si sente parlare di Menzioni geografiche aggiuntive e Unità geografiche aggiuntive.
Si tratta di particolari zone che per posizione, suoli e microclima possono evocare nel consumatore un livello qualitativo più “aspirazionale”. Lo scopo è quello di preservare la qualità del vino anche in considerazione del fatto che l’Italia è uno dei Paesi più produttivi al mondo in termini di volume.
L’utilizzo di maglie strette imposte a livello legislativo permette di tutelare una signature stilistica e qualitativa distintiva di un vino proveniente da una certa origine.

La logica francese

La Francia ha un sistema di denominazione d’origine molto simile: Vin de Pays – che corrisponde alle nostre Igt – e Aoc (Village e Cru) – che somigliano a Doc/Docg. Il sistema è denominato Appellation contrôlée e anche in questo caso lo scopo dei disciplinari è quello di proteggere la qualità del vino e mantenere uno stretto legame tra le caratteristiche intrinseche del vino e il suo luogo di origine. All’interno di ciascuna Appellation possono essere presenti sistemi di classificazione legati alla qualità, ma non esiste una legislazione univoca nazionale, come invece accade in Italia. Per esempio, la classificazione interna nella regione di Bordeaux prevede diverse terminologie a seconda che il vino provenga dalla sponda destra o sinistra della Gironda.
In Medoc la classificazione del 1855 ha istituito cinque livelli qualitativi per gli Châteaux che producono vino rosso: dal Premier Grand Cru Classé (di cui fanno parte Château Margaux e Château Latour) fino al Cinquièmes. Il sistema premia gli Châteaux e non la posizione del vigneto. Anche in Saint-Émilion il sistema dei Cru valuta lo Château, ma utilizza terminologie diverse: Grand Cru Classé e Premier Grand Cru Classé (A e B) come punta più alta di qualità. Al contrario, in Borgogna e Champagne, il significato della parola Premier e Grand è diverso. In queste regioni il sistema dei Cru premia il vigneto (posizione, suoli, microclima) e non il produttore; inoltre il Grand Cru ha un valore più elevato del Premier Cru, complicando la logica ivi sottesa. Se pur molto simili, l’approccio francese e quello italiano differiscono per la classificazione qualitativa e il sistema dei cru.

La Spagna classifica in base all’affinamento

La Spagna rischia di essere il Paese europeo con il sistema di denominazioni più semplice. La nazione è divisa in Do e Doca. Tutte le regioni d’origine sono Do e soltanto Rioja e Priorat sono Doca, quindi con un disciplinare leggermente più stringente. Le maglie larghe della classificazione si infittiscono quando si parla di terminologie legate all’affinamento dei vini: Crianza, Reserva e Gran Reserva. Per esempio, in Rioja il vino bianco Gran Reserva deve passare almeno 6 mesi in legno e 4 anni in bottiglia prima di essere immesso nel mercato.

La complessità della Germania

La Germania ha una classificazione più complessa che vede diversi sistemi sia d’origine che di qualità. Il Deutscher Tafelwein o il vino da tavola e il Landwein vengono utilizzati per la classificazione più bassa e la regione o l’area deve essere indicata sull’etichetta. Qualitätswein bestimmter Anbaugebiete (QbA), invece, è un vino di qualità proveniente da una delle 13 regioni viticole elette e può essere da secco a dolce. All’interno di questa classificazione si possono avere vini Verband Deutscher Prädikatsweingüter (VDP) – il cui scopo è seguire la regola della denominazione di origine, come accade in Francia per l’Aoc Borgogna – e vini con predicato definiti Qualitätswein mit Prädikat (QmP), che si basano sul peso del mosto e concentrazione dello zucchero nel mosto al momento della vendemmia. 
I vini con predicato utilizzano termini difficili da imparare per i paesi di lingua diversa: Kabinett, Spätlese, Auslese etc. diventano una tortura per gli studenti di vino, e possono creare imbarazzo e distanza in certi consumatori non esperti che non sanno cosa aspettarsi una volta aperta la bottiglia. Facciamo un paio di esempi. Kabinett è definito il vino che proviene da uve vendemmiate al momento di perfetta maturazione, e varia da secco (troken) a dolce, anche se statisticamente i Kabinett hanno un residuo zuccherino variabile da 20 a 40 g/l. Auslese invece prevede che il peso del mosto sia diverso perché le uve sono vendemmiate tardivamente e in presenza di alcuni acini attaccati da botrytis cinerea. Anche in questo caso il vino finale può essere da secco a dolce, anche se statisticamente i vini hanno circa 80 g/l di zucchero.

 Le classificazioni di vigneto

Anche i vini VDP utilizzano termini complicati per i non esperti, limitando di fatto la presenza a scaffale fuori dalla Germania (ed è davvero un peccato vista la qualità iconica di questi prodotti). Si classificano le vigne in base posizione, suolo, esposizione, qualità delle uve, storicità, costo. Si punta sulla produzione di vini secchi, anche se sono concessi i vini con predicato con residuo zuccherino.
Ci sono quattro livelli di classificazione di un vigneto: Gutswein (regional level), Ortswein (village level), Erste Lage (equivalente di Premier Cru), Grosse Lage (equivalente di Grand Cru). Ogni regione stabilisce quali vigneti devono essere destinati a ciascun livello in base ai criteri di qualità sopra descritti. I vini secchi provenienti da Grosse Lage si chiamano Grosses Gewächs (e in etichetta si trova la sigla GG).
La Germania si presenta quindi come la regione più complessa per quanto riguarda la classificazione.

La filosofia del Nuovo mondo

Le restrizioni del modello europeo hanno lo svantaggio di rendere alcuni vini meno comuni. Per questo, le denominazioni controllate sono criticate perché limitano l’innovazione e tendono a mantenere le pratiche e la tradizione immobili. Per i consorzi italiani il valore della tradizione deve essere tutelato, come sostiene anche Luca Giavi, direttore del Prosecco Doc.
Nei Paesi del Nuovo mondo, invece, le regole sull’origine del vino esistono ma sono molto più blande e mirano a definire i confini geografici senza imporre regole sui livelli di qualità. Ciò consente al libero mercato di esprimersi e ai produttori di agire in un regime di libera concorrenza, dove le leve di prezzo, posizionamento e branding sono quelle che decidono la fortuna o sciagura di un vino.
In Sud Africa, la legislazione sul vino d’origine (Wo) definisce unità geografiche dalla più ampia alla più ristretta (fino quasi ad arrivare a quella che in Italia si definisce sottozona), ma non vi sono regole sulle rese, sulle quantità o sulla gestione in vigna e cantina. 
Negli Stati Uniti, tutte le delimitazioni geografiche (Ava, American Viticultural Area) non includono norme sulle pratiche viticole e vinicole. Facciamo l’esempio della California: esistono molte Ava e sub Ava, come Napa Ava e, all’interno di essa, Oakville Ava, che però non comunicano niente al consumatore se non la provenienza geografica.
Nulla è regolamentato sulle pratiche vitivinicole o di cantina, e lo stile sarà esclusivamente quello deciso dal produttore in un regime di libero mercato. A differenza delle denominazioni europee e in particolare italiane, una vasta gamma di Vitis è consentita nel sistema Ava, compresi gli ibridi che hanno spiccate capacità di resistere alle malattie fungine, offrendo una varietà di prodotti capaci di fronteggiare le sfide sempre più alte di un clima che cambia in peggio.

Strumenti di marketing

Da un primo confronto sembrerebbe che il sistema di denominazioni del Nuovo mondo sia più efficiente. Indagando meglio, però, l’approccio europeo consente di mantenere una forza distintiva nel nome dell’origine e di portare avanti la reputazione del proprio stile dando garanzie di qualità al consumatore.
Tuttavia, è importante ricordare che quello che conta di più per il consumatore non sempre è la fascetta ministeriale sul collo della bottiglia. Alcuni consumatori, specialmente i più giovani o i meno coinvolti nel settore, sono più attratti da altri valori come la forza di un brand aziendale, un vitigno o un’etichetta colorata che racconti le credenziali ambientali del prodotto, come riportano le indagini di consumo tra cui quella di Silicon Valley Bank. Entrambi i sistemi rappresentano uno strumento di marketing, ma la tutela aggiuntiva dei sistemi europei può essere un punto di forza se l’origine diventa essa stessa brand evocativo.
Le denominazioni europee sono organizzate in consorzi con organi direttivi e meccanismi decisionali collegiali. Da un punto di vista politico, quindi, non possiamo nascondere che il sistema delle denominazioni europee si basa su meccanismi di voto che talvolta immobilizzano la denominazione o – peggio – portano avanti gli interessi dei player più grandi che di fatto hanno un peso maggiore nei consigli direttivi, come purtroppo accade in alcune zone come il Soave, che deve mettere d’accordo una realtà estesa su 7.000 ettari di vigneto

Opportunità da cogliere

La lunga tradizione di vinificazione nell’Europa implica che politica e potere sono un fattore importante quando vengono prese le decisioni relative alla classificazione. Anche se non è possibile evitare la politica, questo fattore è meno rilevante nel Nuovo mondo. Le denominazioni in questo caso offrono la piena libertà ai produttori di investire e primeggiare in base al proprio potere economico. Basti pensare al grande successo di vini come Screaming Eagle e Opus One, che spuntano prezzi superiori ai 600 dollari a scaffale. Se da un lato il rischio dei sistemi collegiali impone una riflessione sul potere dei più forti, dall’altro si vede come il Dio denaro possa definire il successo di un brand o la sua sconfitta. 
Le opportunità per il futuro delle denominazioni europee sono tante, a patto di riuscire ad alleggerire la fitta trama legislativa e amministrativa. Le denominazioni offrono la possibilità di definire le tendenze di consumo e penetrare nuovi mercati con la forza e gli strumenti economici della collettività, creando sinergie a livello più elevato rispetto a quello che il singolo produttore – soprattutto se piccolo – possa fare. Le denominazioni possono offrire gli strumenti per dare ricchezza al territorio diventando mete turistiche e quindi smuovendo economie laterali ed esterne a quella del vino.

I rischi per il Vecchio Mondo

Dall’altra parte, però, i rischi di mantenere le denominazioni del Vecchio mondo sono quelli di perdere la possibilità di creare vini unici, liberi dai vincoli legali, che possano costituire un’alternativa attraente. Certo, alcuni vini italiani che non hanno una denominazione sono riconosciuti come eccellenti e sono venduti a prezzi assai elevati (basti pensare ad alcuni a Igt come quelli di Gravner o Bibi Graetz). Ma non tutti i produttori possono permettersi gli investimenti necessari per costruire un brand di lusso al di fuori della tutela “materna” della denominazione.

Foto di apertura: il Grosses Gewächs è il livello più alto di classificazione del vigneto tedesco
© Insel Mariannenaue Hofgut, Rheingau

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