Dalle Nostre Rubriche

In Italia

In Italia

Il Pignolo non ammette errori

10 Luglio 2018 Roger Sesto

Giunto alla soglia dell’estinzione, è solo a metà degli anni Ottanta del Novecento, grazie al ritrovamento di alcuni vecchi ceppi nelle vigne dell’abbazia di Rosazzo (Udine), che il Pignolo viene giustamente riscoperto, reinserito nel catalogo dei vitigni autorizzati e rilanciato, sebbene ancora oggi su scala ridotta.  Si tratta di una varietà complicata; in gioventù organoletticamente simile al Cabernet Sauvignon, ha viceversa in vigna un andamento simile a quello del Merlot. Maturando precocemente, se non lo si vendemmia in tempo si porta in cantina un’uva eccessivamente zuccherina che conduce a un vino il cui troppo alcol estrae i tannini verdi dei vinaccioli. In fase di affinamento si comporta poi come un Pinot nero, tendendo all’eleganza, che però arriva dopo oltre 10 anni di maturazione.

Il Pignolo deve invecchiare a lungo

Ne produce una paradigmatica versione Alessio Dorigo, di Premariacco (Udine). «Da buon friulano sono affezionato al Pignolo. In primis perché la mia famiglia», racconta Dorigo, «è legata a doppio filo a questa varietà, avendola riscoperta e salvata dall’oblio. Poi perché si tratta di un vino duro, che vuole anni di affinamento per farsi amare, esprimendo così il carattere delle nostre terre e di noi vignaioli friulani. Per le sue caratteristiche», spiega Alessio, «facciamo macerazioni corte e a temperature fresche. Induciamo la malolattica subito dopo la fermentazione, quindi mettiamo il vino immediatamente in barrique con le proprie fecce fini. Il legno deve essere nuovo, per domare l’irruenza. Operiamo frequenti bâtonnage, limitando la solforosa affinché l’ossigeno polimerizzi i tannini e fissi i colori. Solo dopo 3 anni di piccoli fusti si può pensare all’imbottigliamento; a cui devono seguire almeno altri 2 anni di maturazione in vetro prima della commercializzazione. Il Colli Orientali del Friuli Pignolo Doc che vendiamo oggi è il 2013, ancora molto lontano dal perfetto equilibrio».

Per conoscere gli altri autoctoni del Friuli Venezia Giulia clicca qui

L’articolo sui vitigni autoctoni friulani prosegue su Civiltà del bere 3/2018. Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com

In Italia

Le tre anime del vino toscano secondo Arillo in Terrabianca

Radda in Chianti, Maremma e Val d’Orcia: il progetto generazionale della famiglia […]

Leggi tutto

Gabe Tenute, nuova voce di carattere nel cuore del Conegliano Valdobbiadene

Un progetto recente (la fondazione risale al 2024) ma già ben avviato, […]

Leggi tutto

Doc Monreale: per i produttori il vitigno su cui puntare è il Catarratto

La tendenza va in particolare verso i biotipi Lucido ed Extra Lucido, […]

Leggi tutto

Paternoster, per i 100 anni arriva Barone Rotondo

L’azienda del Vulture, di proprietà della famiglia Tommasi, festeggia un secolo di […]

Leggi tutto

Addio a Luigi Cataldi Madonna, il professore e filosofo del vino abruzzese

Grande promotore delle varietà autoctone regionali, che ha contribuito a rilanciare, il […]

Leggi tutto

Cinzia Merli è la nuova presidente del Consorzio di tutela Bolgheri e Bolgheri Sassicaia

Passaggio di testimone tutto al femminile per il Consorzio di tutela Bolgheri […]

Leggi tutto

Doc Monreale, la nuova vita del “vigneto di Palermo”

Il disciplinare, in vigore dal gennaio 2024, valorizza gli autoctoni storici Catarratto […]

Leggi tutto

Il ritorno di Fonzone all’Enoluogo. Alla scoperta dei molti volti del Fiano

In soli 20 anni, la Cantina irpina ha conquistato il pubblico e […]

Leggi tutto
X

Hai dimenticato la Password?

Registrati