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Il Fallegro compie 40 anni. La rinascita dell’uva Favorita

6 Marzo 2014 Civiltà del bere
Quella del Fallegro, storica etichetta dei Poderi Gianni Gagliardo, è una storia a lieto fine. Nel 1974 il vitigno Favorita era quasi scomparso dalle colline piemontesi. Fu allora che, spinto dal desiderio di riscoprire questa varietà in via d'estinzione, versione locale del Vermentino, Gianni Gagliardo iniziò a recuperarne le uve da piccoli vigneti sparsi per il territorio. Trasformandole in quella che, da quarant'anni, è una delle bottiglie simbolo della Cantina. DALLE ORIGINI AL VIGNETO SPERIMENTALE - Gioca un ruolo importante il legame con i luoghi natali: il produttore è originario di Monticello d'Alba, zona sabbiosa e per questo vocata all'allevamento della Favorita. Dopo aver creato qualche filare negli anni Ottanta, il primo vero vigneto sperimentale di Favorita arriva nel 1990, in collaborazione con la facoltà di Agraria dell'Università di Torino: le viti non esistevano in commercio, per cui il legno di base è stato prelevato dalla collezione ampelografica universitaria. UNA VINIFICAZIONE PLURALE - Anche in cantina ha avuto spazio la sperimentazione: dalla fermentazione in legno, alla macerazione sulle bucce, all'affinamento sui propri lieviti, fino ad arrivare alla versione attuale del Fallegro. Oggi il vino deriva dall'assemblaggio di varie micro-partite, vinificate separatamente con tecniche diverse. Alcuni grappoli sono riparati dal sole, altri totalmente esposti, su terreni sabbiosi oppure calcareo-argillosi. In cantina una parte macera sulle bucce, un'altra con i raspi, un'altra senza. Solo alcune partite fanno la malolattica. Una parte affina sui lieviti in acciaio, un'altra in legno e una terza senza fecce.

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