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In Italia il Carménère in purezza resta una sfida per pochi

11 Marzo 2023 Jessica Bordoni

Il Carménère è uva di origine bordolese a lungo confusa con il Cabernet Franc e il Merlot. Gode di un ristretto gruppo di estimatori tra i nostri produttori, che si sono spinti a vinificarla in versione monovarietale. Le interpretazioni d’autore di Inama, San Leonardo, Ca’ del Bosco e PuntoZero

Quella del Carménère in Italia è la storia di un clamoroso “scambio di vitigno”. Presente da più di 150 anni nei campi del Nordest (dalla Lombardia al Friuli, passando per Veneto e Trentino) con qualche incursione in Toscana, è stato a lungo assimilato al Cabernet Franc, con il quale condivide l’origine bordolese e una piacevole nota erbacea di fondo. Gli studi hanno però dimostrato che si tratta di un un’uva a se stante e non di una versione più debole e “degenerata” del Franc, come invece si pensava. L’agnizione risale ai primi anni Novanta e solo nel 1996 il Carménère è stato ufficialmente inserito nel Registro nazionale delle varietà di vite. Un’identità ritrovata grazie all’appassionata attività di un ristretto gruppo di aziende in collaborazione con le principali università italiane, che hanno promosso ricerche agronomiche e genetiche volte a comprendere e valorizzare la cultivar.
Qualche Cantina ha deciso di cimentarsi nella produzione in purezza, affascinata dal potenziale monovarietale sia in termini di espressività aromatica che di capacità di invecchiamento. Ma i casi si contano sulle dita di una mano. Il Carménère è un vitigno per pochi, che richiede attenzioni e cure speciali in tutte le fasi di lavorazione. Salvo poi sorprendere nel calice con una tessitura ritmica e una capacità di leggere il terroir che lo avvicina ai grandissimi, come Pinot nero, Nebbiolo e Sangiovese.

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