I Cru francesi hanno aperto la strada al mito del terroir

I Cru francesi hanno aperto la strada al mito del terroir

In questi giorni si parla molto delle Uga: Unità geografiche aggiuntive. Concettualmente possono convincere o meno (per noi, è un passo avanti nella definizione territoriale, che è sempre più ambita); ma l’acronimo Uga ci sembra un classico pasticcio linguistico all’italiana, così come siamo perplessi difronte alla definizione “sottozona”, che evoca inferiorità, mentre sono superiori, normalmente.

I burocrati dovrebbero fare un corso di scrittura creativa. Come convinceremo il mondo che una Uga è affascinante quanto un Cru francese? Intanto, ripassiamo volentieri la storia, riportando un pezzo pubblicato nel 2014 nella monografia dedicata all’argomento.

Dove nasce il mito del terroir?

L’Opéra di Parigi, l’aeroporto di Orly, il Louvre, brillano di un colore beige chiaro, tendente al rosa. Si chiama comblanchien, ed è un calcare a grana fine che proviene dal sottosuolo di Aloxe-Corton. Comune dove nasce uno dei cru francesi mito dell’enologia mondiale: Corton Charlemagne Gran Cru di Domaine Jean-Jacques Girard. Com’è evidente per le uve che crescono a mezza costa dell’Aoc comunale, dove nella parte sud sono coltivati soprattutto i rossi e nella parte ovest si prediligono i bianchi, così per il Charlemagne, nella zona alta della collina, dal versante meridionale si ottengono vini più grassi e corposi, con necessità di qualche anno per aprirsi e, in pieno lato occidentale, prodotti più vividi e minerali.

Borgogna e Chardonnay, legame indissolubile

Coche-Dury possiede qui una parcella di poco più di un terzo di ettaro, denominata Sous-la-Croix (a sud). Così piccola che in un’annata irregolare come il 2001 “alle 11 di mattina con 22 raccoglitori avevamo già finito di vendemmiare” ha scritto Micheal Broadbent. Il Corton Charlemagne Grand Cru del “signore del Meursault” ha uno stile di potente freschezza agrumata ed è un mito nel mito. La massima espressione del concetto francese di terroir, come sottosuolo e suolo, ma anche come clima, esposizione, altitudine e lavoro dell’uomo, frutto delle sue conoscenze e delle tradizioni. Così lo Chardonnay, ai primi posti nel mondo come quantitativo di uva piantata, racconta gli angoli più belli della Borgogna: da Meursault a Chablis.

I Premier Cru di Mersault

A Meursault non ci sono Grand Cru, ma tre Premier Cru francesi tra i più rinomati: Les Perrières, Les Genevrières e Les Charmes. Il primo dà vini longevi e minerali, con una delle espressioni dello Chardonnay caratterizzate solitamente da note più dolci e tostate che possono sfociare fino al cioccolato bianco; grazie alla maggiore altitudine rispetto agli altri due e alla vicinanza con i Montrachet dai quali prende appunto maggior finezza: Puligny, Les Criots, Chevalier e lo stesso Montrachet.

I protagonisti a Puligny-Montrachet

È il Clos de la Mouchère di Domaine Henri Boillot, monopolio di quattro ettari inclinato più verso sud degli altri Premier Cru esposti a est, che con maggior grazia rappresenta la sferzante spina dorsale di Puligny-Montrachet, insieme con la precisione che si trova a Domaine Leflaive Chevalier. Oppure, restando coi Grand Cru nel cuore di Montrachet, con la mineralità del Criots-Bâtard Montrachet di Domaine d’Auvenay, più simile al Bienvenue, o infine con il Montrachet di Ramonet, incredibile per densità, concentrazione e lunghezza sul palato.

Ci spostiamo a Chablis

A Chablis è Raveneau a esprimere la maggiore profondità di questi terroir coniugando la finezza con la complessità di Les Clos di William Fèvre, uno dei Grand Cru più articolati rispetto alla delicatezza di Blanchot, alla minore espressività di Bougros, alla potenza aromatica di Grenouilles, Valmur e Vaudésir o alla pienezza di Preuses con una buona esposizione.
L’ultimo grande Chardonnay lo troviamo a Pouilly-Fuissé nel Tris des Hauts Vignes di Guffens-Heynen, a nordovest della Denominazione, tra le colline più aspre di Vergisson.

Cru francesi, in Loira tocca al Sauvignon

In Loira invece, per raggiungere gli stessi livelli interpretativi, è il Sauvignon blanc che si fa strumento di espressione dei Cru francesi. Il compianto Didier Dagueneau impresse a Pouilly-Fumé una svolta col suo Silex che in questo caso è il nome di un suolo e non di un Cru, ma rappresenta bene il terroir più colto di questa regione; quella pierre à fusil che si ritrova nei vini protetti dall’Atlantico grazie all’altipiano della Champagne Berrichonne a ovest e mitigati dalla valle della Loira più a est, condivisa soltanto con i Sancerre più vicini al paese o con alcuni vigneti dei comuni di Morogues e di Humbligny.

Lo Chenin blanc di Savennières

Più ricchezza e potenza si trovano nel ventoso e secco Savennières, regione di uno dei pionieri della viticoltura biodinamica come Nicolas Joly. La Coulée de Serrant è il suo Cru monopole su suoli vulcanici che attraverso lo Chenin blanc esprime vini strutturati, muscolari, secchi, tostati e con profumi di grande personalità.

Nelle Graves Sauvignon e Sémillon

Per ritrovare la stessa potenza, ma con una finezza diversa bisogna andare sulle Graves dove al vibrante Sauvignon blanc è affiancato il pastoso Sémillon. Qui il concetto di Cru è più allargato attraverso l’utilizzo di blend che inevitabilmente finisce per dilatare l’espressione di un terroir.

Quando Aoc e Cru francesi sono una cosa sola

Spesso Aoc e Cru coincidono in quelli che i francesi definiscono gli incontournable, i vini assoluti. Lo Château Haut-Brion Blanc rappresenta a Pessac-Léognan l’espressione oggi più elegante dei bianchi secchi della Gironda, l’antipasto per quei dolci che si chiamano Sauternes e Barsac scendendo poi più a sud.

Due Château paradigmatici

Château d’Yquem e Château Climens sono i due paradigmi, non soltanto per classificazione. Più argilloso, il primo “vigneto” attraversato, infatti, da raffinati drenaggi costruiti nel secolo scorso, a Sauternes, favorisce un maggiore sviluppo della muffa nobile; soprattutto per quanto riguarda il Sauvignon blanc, qui più abbondante. Mentre Climens, sulla riva sinistra del Ciron, ha una base calcarea su terreni argillo-sabbiosi di carattere alluvionale. Ed è 100% Sémillon, con un naso più fruttato e un palato meno potente, ma anche più fine.

Le rive di Bordeaux

Una riva destra e una riva sinistra sono anche la prima macroscopica differenza tra i rossi di Bordeaux, a dimostrazione che gli stili espressivi del terroir qui si declinano su scala più ampia. A Pauillac si producono i rossi tra i più longevi dell’Haut-Médoc, con tannino importante e sentori speziati di grafite e scatola di sigari. Château Mouton Rothschild svetta, più che altro per altezza dei vigneti sul livello del mare, rispetto ai due grandi Château che hanno fatto dall’inizio la storia di questo cru: Lafite e Latour. Sono agli opposti, a nord quasi al confine con Saint-Estèphe il primo, all’estremo sud vicino a Saint-Julien il secondo.

Il fascino di Margaux e di Pessac-Léognan

Tuttavia, al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, Lafite è un Pauillac che “saintjulieneggia” con finezza e rotondità, mentre è Latour a esprimere il tannino austero che ricorda Saint-Estèphe. Grande longevità, maggior frutto con note dolci in gioventù e un’affascinante complessità nell’evoluzione sono le cifre di Margaux e dell’omonimo Château; uno dei suoli più ciottolosi, in grado di dare vini in annate non perfette talvolta più sottili, ma sempre di innarrivabile profondità. Chi invece ha fatto della finezza uno stile inconfondibile è Château Haut-Brion, a Pessac-Léognan, questo sì più elegante anche se in un’annata come la 2009 ha tirato fuori un alcol oltre i 14,5 % vol.. Eppure mai sopra le righe.

Alla scoperta della rive droite

Sulla riva destra, il concetto del lieu dit torna più deciso tra i produttori di vin de garage; è sempre qui che nascono due dei vini più raffinati di tutta la Gironda. Il Merlot domina le argille del Pomerol regalando a Château Pétrus una mineralità inarrivabile dagli altri Merlot nel mondo, con una carnosità e una sapidità tali da aggiungere alla rotondità a volte banale – diciamolo – del vitigno un austero stile aristocratico.

L’equilibrio dei vini di Saint Émilion

Château Cheval Blanc è invece il Cru più elegante di Saint Émilion, dove il Cabernet Franc domina con la sua freschezza sviluppando una serie infinita di varianti sul tema del balsamico e mentolato, senza mai sconfinare nella muscolarità del Cabernet Sauvignon o nella ruffianeria dei vicini Merlot.

Nel Rodano emerge la Syrah

L’equilibrio tra potenza ed eleganza è la caratteristica che ha reso celebri anche i Cru francesi a base di Syrah come gli Châteauneuf-du-Pape di oggi nel Rodano meridionale o Hermitage e Côte Rôtie in quello più alto.Tra i ciottoli nella provincia che fu sede papale è l’Hommage à Jacques Perrin di Château du Beaucastel che più di altri racconta questo terroir. Uno dei produttori considerati tradizionalisti, che usa ancora i 13 vitigni previsti dal Disciplinare. Ed è forse l’unica eccezione a questo nostro viaggio con un’etichetta fatta più in cantina che in un vero e proprio Cru; se non si accenna al fatto che è ottenuto con le viti più vecchie di Mourvèdre di proprietà dell’azienda e che si ritrovano in, talvolta discusse, virili note di cuoio.

Marcel Guigal, l’estremizzazione del Cru francese

Torna sul concetto puro e anzi estremizzato di Cru La Turque di Marcel Guigal a Château d’Ampuis, un Côte Rôtie della Côte Brune, considerato una via di mezzo di stile tra La Landonne più strutturata e potente e La Mouline più fine e floreale, blend di Syrah e Viognier (7%). Il mito tra i cosiddetti “La La’s” (un simpatico modo per definire i Cru di Guigal) frutto di basse rese, profonde estrazioni e lunghissimi affinamenti in legno piccolo. Un vino capace di emozionare con speziature e rotondità figlie veramente del nome persiano di quest’uva.

Hermitage, tra potenza e finezza

Spirituale e meno lasciva invece l’emozione della collina di Hermitage, dove il Rodano vira verso est ritagliandoci una suggestiva collina esposta a sud e dominata da La Chapelle. Quest’ultima dà il nome a uno dei Cru più leggeri e aromatici, insieme con quelli di Beaume e de L’Hermite; dove invece Le Méal o Les Bessards sono rispettivamente i più potenti e tannici, esposti più a sud e sudovest. Jean Luis Chave, però, che assembla le sue parcelle in un Hermitage tout court, esprime con completezza le caratteristiche, di potenza e finezza insieme, di questo granito che il miracolo della natura e la cultura dell’uomo hanno fissato nella storia dell’enologia.

Château-Grillet è anche Aoc

Sempre nel Rodano c’è uno Château così importante che è divenuto Cru di se stesso con un “vin doré et flamboyant, l’un des plus grands vins blancs de France (donc du monde!)” scrisse Curnonsky, il principe dei gastronomi. È Château-Grillet, che è anche Aoc, dalle terrazze omonime di uve Viognier, un vino delicato, basso di acidità, rotondo e dai profumi floreali.

La piccola rivoluzione dell’Alsazia

La legge sta poi supportando una piccola rivoluzione in Alsazia, dove dal 2012, come ha segnalato Hugh Johnson nell’Atlas of Wine, 11 comuni hanno rinegoziato il diritto di indicare il nome del vitigno in etichetta, così come quello dei Cru francesi corrispondenti. Qui sono l’Altenberg de Bergheim di Marcel Deiss o il Clos Sainte Hune di Trimbach nella parte più a nord, i migliori Cru da segnalare; insieme al Pinot gris Clos Jesbal, sopra Colmar, di Domaine Zind-Humbrecht tra i dolci.

La consapevolezza del terroir in Champagne

Infine, last but not least, c’è la Champagne. Samuel Cogliati nel libro Champagne. Il sogno fragile ha aperto uno squarcio interessante sull’idea di terroir in questa regione. Si potrebbe cioè sostenere che un vigneto come il Clos de Mesnil di Krug sia relativamente giovane rispetto a tanti degli esempi citati. Eppure proprio scartabellando negli archivi della Maison si trovano delle vecchie ricette con le quali si assemblava “un terzo di Cramant, Avize, Le Mesnil” per una cuvée légère. Con la chiara consapevolezza di creare un vino sfruttando le diverse caratteristiche specifiche di ogni Cru.

Côte de Nuits, una storia a sé tra i Cru francesi

E poi c’è la Côte de Nuits che meriterebbe la trattazione di 30 lieu-dit a parte e che è la patria del concetto più alto di terroir. Per dovere di sintesi sono al minimo sei le espressioni irrinunciabili per capire questa parte finale di Côte d’Or. Il ripido Chambolle-Musigny di Domaine d’Auvenay col suo fascino a “coda di pavone” sul palato e più affine ovviamente al Clos de Vougeot e al Grand Echézeaux che a Bonnes Mares. Il suolo ricco di calcare e la profondità di vita e di profumi del Clos de la Roche di Domaine Hubert Lignier.

Gevrey e Vosne-Romanée

La potenza e la longevità a Gevrey, con lo Chambertin di Domaine Dugat Py o il Clos de Bèze di Domaine Armand Rousseau (ma anche Le Clos St-Jacques nonostante sia un Premier Cru), capaci di straordinari viaggi nelle profondità del sottobosco autunnale con l’affinamento. Il floreale e speziato a Vosne-Romanée, che raggiunge le vette più inimmaginabili con il Richebourg di Domaine Leroy e il monopole che dà il nome anche alla cantina Domaine de la Romanée-Conti, il più dannatamente naturale, il più importante di tutti, semplicemente il migliore.

Per capirci meglio

  • APPELLATION D’ORIGINE CONTRÔLÈE (AOC): vini con provenienza geografica, composizione e metodi di produzione rigidamente regolamentati.
  • CRU CLASSÉ: cru francesi che rientrano nella classificazione ufficiale stilata a Bordeaux nel 1855 basata sui prezzi dei vini determinati dai mediatori dell’epoca. La suddivisione è stata fatta in classi di Premier, Deuxième, Troisième, Quatrième, Cinquième e Cru Classé.
  • GRAND CRU: designa i vigneti migliori in Borgogna (ma non a St-Èmilion, dove non è sinonimo di eccellenza).
  • PREMIER CRU: sempre in Borgogna rappresenta il livello appena inferiore al Grand Cru; nel Mèdoc è uno dei migliori Châteaux.

Foto di apertura: il vigneto da cui nasce il Premier Cru di Château d’Yquem nel bordolese © Gerard Uferas

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© Riproduzione riservata - 20/07/2021

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