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Amarone d’Arte? Il tribunale di Venezia dice no

26 Ottobre 2017 Monica Sommacampagna
Le Famiglie dell’Amarone d’Arte non potranno più utilizzare il termine “Amarone” per qualificare la loro associazione. La sentenza è giunta qualche giorno fa a sorpresa dal Tribunale di Venezia. Tutto nasce dalla causa avviata dal Consorzio Tutela Vini Valpolicella contro le 13 Cantine riunitesi dal 2009 (Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi Agricola, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre d’Orti, Venturini e Zenato) per produrre Amarone della Valpolicella Docg di qualità secondo normative più restrittive. Il verdetto mette un punto fermo alla possibilità di registrare una denominazione di origine protetta all’interno del nome di un brand privato.

"Non esiste Amarone di serie A e di serie B" 

Un'iniziativa legale avviata nel 2015 quando era presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella Christian Marchesini, che oggi commenta: «Il termine Amarone va innanzitutto correlato alla Valpolicella, come impone il disciplinare di produzione. Non va usato in maniera laudativa, quasi esistesse un Amarone di serie A e di serie B. Auspico che non vi siano azioni di ricorso e che questa sentenza costituisca un punto di arrivo. Anzi, spero sia una ripartenza per fare rete. Mi auguro anche che sia di ispirazione anche per altri enti di tutela verso accademie o associazioni con denominazioni nel loro nome. Penso, ad esempio,al Consorzio Vino Nobile di Montepulciano rispetto al brand Nobile delle Famiglie».

In attesa di comunicazioni ufficiali

Si attende il ritorno da una campagna promozionale in America dell’attuale presidente del Consorzio Tutela Vini Valpolicella Andrea Sartori e della direttrice Olga Bussinello per un annuncio ufficiale. Maria Sabrina Tedeschi, presidente delle Famiglie dell’Amarone d’Arte si trincera invece dietro un "no comment". Secondo le prime indiscrezioni l’associazione dovrebbe procedere entro 30 giorni a ritirare il nome Amarone da ogni forma di comunicazione e potrebbe presentarsi l’ipotesi di concorrenza sleale per l’espressione “d’arte” ritenuta discriminante. Comunque, prima di emettere verdetti, si attende una comunicazione esaustiva da ambo le parti per trarre conclusioni.

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