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Etna Doc, un’eruzione di bollicine

21 Dicembre 2020 Matteo Forlì

Sui versanti del vulcano la produzione di Spumante Metodo Classico è salita a 160 mila bottiglie. Con un aumento del 30% nel 2020. E le vendite non hanno risentito del Covid. Ora il Consorzio vuole inserire anche il Carricante tra i vitigni ammessi.

Secondo il mito le eruzioni di ceneri del vulcano sarebbero il “respiro” infuocato del gigante Encelado, sconfitto dalla dea Atena e intrappolato per l’eternità in una prigione sotterranea. Lo spumante Metodo Classico ha un fiato fatto di bollicine, è una leggenda più nota altrove ma sta conoscendo una deflagrante espansione sulle pendici dell’Etna: nel 2020 le bottiglie di Etna Doc Spumante prodotte oggi in 16 cantine hanno fatto un balzo in avanti del +30% toccando quota 160 mila.

Maurizio Lunetta, direttore del Consorzio di Tutela Vini Etna Doc

Il disciplinare si apre al Carricante?

Nelle stanze del Consorzio stanno rifermentando novità sul disciplinare di produzione di quello che oggi è un Blanc de Noirs ottenuto solo da Nerello Mascalese (e da uve autoctone a bacca rossa), vinificato in bianco o in rosato e con un minimo di 18 mesi di sosta sui lieviti. «È già stata approvata in assemblea a luglio 2020, e inviata al ministero, la richiesta di un aumento della percentuale minima di Nerello Mascalese per tipicizzare di più il prodotto», ci spiega Maurizio Lunetta, direttore del Consorzio di Tutela Vini Etna Doc. «Al contempo vorremmo permettere la tipologia anche al Carricante, nobile uva autoctona a bacca bianca del territorio etneo, dal livello acidico importante e già utilizzata con successo come base per spumanti Igt da molti produttori».

Un’espansione non scalfita dal Covid

Il successo delle bollicine sull’Etna ha assorbito anche il periodaccio del Covid che, complice lo stop dell’Horeca, ha sgonfiato del 10% l’imbottigliato di tutte le tipologie della Doc. «Ma non dello spumante che oggi assieme ai rosati, rappresenta la nuova frontiera dell’interesse dei consumatori. Pur essendo ancora un prodotto di nicchia e per appassionati anche a livello di vendite non ha mostrato cedimenti», prosegue Lunetta.

Etna e spumante: una storia recente

«Questi risultati sono ancora più sorprendenti visto che la produzione di Metodo Classico nel nostro territorio è stata introdotta nel disciplinare di produzione solo a partire dal 2011».  La tradizione è cominciata un po’ prima. Già alla fine del ‘800 qualche entusiasta ribattezzò “Champagne Etna” i primi rifermentati da Pinot nero proposti dal Barone Felice Spitaleri di Muglia. Ma i primi i primi spumanti autoctoni da Nerello Mascalese risalgono appena agli Anni ’80 del secolo con la firma della Cantina Murgo.

Vigneti che si inerpicano sulla montagna

Una viticoltura  estrema

L’attività vulcanica (alto 3.300 metri l’Etna è il più importante vulcano attivo d’Europa) e le pendenze dei terreni, per buona parte terrazzati, donano una sfumatura eufemistica all’espressione “viticoltura eroica” ma anche un carattere unico nel bicchiere. «Partita sui versanti occidentale e meridionale del vulcano, la produzione di Etna spumante oggi abbraccia anche la zona settentrionale, tradizionalmente nota per i rossi di struttura», dice ancora il presidente del Consorzio Etna Doc.

Il territorio nel bicchiere

«Il Nerello Mascalese è vitigno tardivo (in genere si vendemmia nella seconda o terza decade di ottobre, per la tipologia spumante la raccolta è comunque a fine settembre-inizio ottobre, ndr) ha grande acidità e mineralità e ha mostrato grande inclinazione per la bollicina così come il Carricante, che esprime al massimo i suoi profumi sulle pendici vulcaniche a 600-700 metri d’altitudine».

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