Abbiamo chiesto al professor Mario Fregoni, presidente onorario dell’Oiv, un parere sui vini da vitigni ibridi, oggi ammessi dall’Ue per le Dop. Pubblichiamo di seguito le sue considerazioni sugli aspetti salutistici e qualitativi di bianchi e rossi da queste varietà.
Da poco è passato il rischio previsto dal Cancer plan all’Ue, scansato poggiando la difesa sul tradizionale uso moderato e sulla dieta mediterranea. Il riferimento, non esplicito, era al vino in genere, cioè a quello di Vitis vinifera, le cui varietà rappresentano il 99% in tutto il mondo, dopo selezioni durate 8.000 anni in Europa. Con l’avvento di oidio, peronospora e fillossera in Europa, negli Usa nacquero i primi ibridi interspecifici fra Vitis vinifera (sensibile) e specie americane (resistenti). I primi ibridi comparvero nel 1819, pertanto sono 200 anni che si producono ibridi resistenti in realtà solo tolleranti. Centinaia di ibridi sono stati coltivati durante le due Guerre mondiali, ma sono successivamente scomparsi a causa della cattiva qualità. Gli ibridi hanno interessato soprattutto i Paesi a clima freddo e piovoso (Russia, Germania, Ungheria, Austria, Svizzera, Nordest Italia, Usa settentrionali, ecc.) e sono pensati per le zone ecologicamente poco vocate.