Così il Covid ha cambiato il modo di bere vino

Così il Covid ha cambiato il modo di bere vino

Usando i propri tempi e metodi, scienziati e ricercatori hanno finalmente completato le analisi dei consumi di vino durante il periodo peggiore del Covid, quello dei lockdown del 2020. È così possibile definire, al riparo da interpretazioni dettate dall’emotività, se la pandemia ci abbia indotto a bere di più e peggio. In particolare due recentissimi studi, uno italiano e uno internazionale, ci dicono che non è andata proprio così.

In Europa continua la stucchevole diatriba sui consumi di alcol, con schieramenti grossolanamente suddivisi tra i neo-proibizionisti, che vedrebbero con favore forti tassazioni o ostacoli agli acquisti di vino e spirits, e chi invece intende difendere produzioni che, asserisce, sono profondamente connaturate alla cultura europea, e mediterranea in particolare. La scorsa settimana il Parlamento Europeo si è espresso sulle indicazioni avanzate dal Beca, il comitato speciale per contrastare il cancro, che proponeva – tra le altre – l’inserimento sulle etichette del vino di immagini simili a quelle riportate sui pacchetti di sigarette.

Consumi e lockdown

I parlamentari europei hanno respinto l’idea, promuovendo invece quella di inserire messaggi che invitino a bere con moderazione. La discussione si è accesa negli ultimi tempi anche sulla scorta di indicazioni che segnalano l’insorgenza del Covid come un fattore che ha spinto i consumatori a bere più alcolici e più vino. In passato, subito dopo il primo lockdown, varie statistiche di mercato, costruite con i dati del momento, avevano indicato come il vino avesse tenuto sul mercato, in alcuni casi anche aumentando le vendite. Da cui l’idea di una connessione tra il regime di costrizione imposto dalla pandemia e una tendenza a bere di più.

Due studi interessanti

Come sono andate le cose? Ce lo spiegano in parte due studi costruiti su dati raccolti dopo le chiusure del 2020 e arrivati ora a pubblicazione. Uno, condotto da ricercatori dell’Università di Padova e pubblicato sulla rivista Bio-Based and Applied Economics, riguarda l’analisi dei consumi di vino in Italia durante il primo lockdown. L’altro, realizzato da studiosi francesi e australiani e in uscita sulla rivista Food Quality and Preference, analizza i consumi di vino di due categorie di persone, i professionisti del settore e gli appassionati. In entrambi i casi le analisi hanno riguardato campioni ampi: oltre mille persone nello studio italiano, quasi 600 in quello internazionale.

Risultati convergenti

Tutte e due le ricerche hanno portato a risultati convergenti. Quello italiano in particolare, ha individuato una certa crescita nell’acquisto e nei consumi di vino nel nostro Paese. Il fenomeno ha riguardato soprattutto gli uomini, mentre per le donne questo fenomeno non si è verificato. A cambiare sono state soprattutto le condizioni di consumo; si sono ridotte moltissimo le opportunità di convivialità e si è riscontrata quindi una maggiore tendenza a bersi un buon bicchiere da soli. Tra i trend riscontrati anche quello, di chi si era costruito una propria cantina, di “sfruttare” l’occasione per stappare le proprie bottiglie, piuttosto che comprarle. Tra i motivi che hanno portato a un maggior consumo gli intervistati hanno indicato il fatto di avere figli, il desiderio di dedicare maggiori attenzioni a se stessi, la voglia di rilassarsi e la piacevolezza sensoriale della degustazione.

Effetto rilassante

In generale, gli studiosi non individuano uno stravolgimento dei consumi. Ipotizzano invece un collegamento tra la particolare situazione di tensione determinata dalla pandemia, con forti preoccupazioni sul futuro, il lavoro e la tenuta del reddito, e un effetto comprovato del vino, che riduce la tensione e rilassa. Da questo punto di vista, scrivono gli autori dello studio, “il vino può aver giocato un ruolo nel mitigare la pressione psicologica causata dal lockdown in un contesto dove non erano disponibili alternative per rilassarsi”.

Il valore sociale

A simili risultati è giunto anche lo studio internazionale, che ha evidenziato come siano stati soprattutto i professionisti di settore ad acquistare più vino rispetto agli amatori; e anche bottiglie più costose. Per contro gli addetti ai lavori non hanno incrementato il consumo, come è invece accaduto per i “non professionisti”, soprattutto quelli di età più giovane. Curiosamente l’incremento di alcolici ha riguardato, per questa categoria, esclusivamente il vino, perché invece si sono ridotti i livelli di consumo di birra e spirits. In genere chi si è dichiarato più ansioso ha anche assunto più birra e più vino, delineando ancora una correlazione tra stato d’animo e consumo. E confermando che il vino non è soltanto una “commodity”. Ha anche un valore sociale che, ovviamente, in caso di consumi troppo elevati ha senza dubbio riscontri negativi. Ma che invece, con un consumo moderato, può svolgere una funzione positiva.

Foto di apertura: il desiderio di stemperare l’ansia per l’isolamento è tra i motivi della crescita di consumo di vino nel primo lockdown © K. Ellis – Unsplash

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© Riproduzione riservata - 01/03/2022

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