Chianti e Chianti Classico: l’origine della querelle
Le due Docg toscane, diversissime tra loro, condividono da quasi un secolo il nome. Ci sono proposte, concilianti o più intransigenti, per mettere fine alla confusione territoriale e commerciale. Ma c’è il pericolo che si trasformi in una guerra di trincea.
Uno prevede il residuo zuccherino e l’altro no. Uno consente le uve bianche nel blend e l’altro no. Uno può spremere fino a 110 quintali a ettaro e l’altro si ferma a 70. Uno punta alla grande distribuzione e l’altro perlopiù al canale Horeca. Il primo si caratterizza con le sottozone e il secondo sta puntando alle Menzioni geografiche aggiuntive e alla Gran Selezione basata sui cru da vigneto (ma anche il Chianti Docg ha recentemente approvato una modifica al disciplinare per creare la sua Gran Selezione, nonostante il Chianti Rufina si sia dissociato).
Confusioni e conflitti
Chianti e Chianti Classico sono sempre più diversi tra loro, eppure da quasi un secolo condividono il nome. Un equivoco infinito che costringe l’ufficio stampa del Gallo Nero a dannarsi coi titolisti italiani perché non venga abbreviato il Classico in semplicemente Chianti; che obbliga i produttori a sacrificare tempo per spiegare la differenza tra due Docg anziché raccontare i dettagli del territorio (e mica solo all’estero); che ha innescato la nascita dei Supertuscan al di fuori della denominazione togliendo alcuni premium wine alla denominazione benché all’interno della regione storica, e che tiene come una zavorra il prezzo del Gallo Nero al ribasso.
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La battaglia si preannuncia lunga
Oggi però è iniziata una battaglia per porre fine a questo equivoco. Niente più alzate di spalle, niente più assensi passivi sul merito senza scendere in campo sul metodo. Niente più ipocrisie e convenienze tra le righe, ma una vera guerra in campo aperto per dire basta: il Chianti non usi più un termine legato a un territorio del quale di fatto non fa parte.
Una battaglia che si preannuncia lunga, irta di rischi temporali, legali ed economici, ma non priva di fondamento. Uno scontro che potrebbe trasformarsi in una trincea, lunga ed estenuante, tra fratellastri, ma anche in un completamento del secondo Rinascimento che il Gallo Nero potrebbe realizzare.
L’enologo Vittorio Fiore: che il Chianti rinunci al nome!
A capitanarla è l’enologo Vittorio Fiore, legato alle aziende che segue, ma soprattutto a Ruffoli e Lamole col figlio Juri, dove produce uno dei grandi Sangiovese della regione e ovviamente Chianti Classico. L’obiettivo di Fiore, che sta raccogliendo proseliti tra produttori anche importanti come Paolo De Marchi, titolare di Isole e Olena, con una strategia precisa e non priva dei primi riscontri, è mettere la parola fine alla confusione territoriale e commerciale dei Chianti.
Il “peccato originale” in epoca fascista
Un equivoco infinito che ha prima di tutto precise ragioni storiche, ma anche una lucida strategia commerciale della quale ancora, almeno da una parte, si raccolgono i benefici. Durante il fascismo, Benito Mussolini giocava una partita importante per la lira e lanciò la campagna per “quota 90”.
Tag: Chianti, Chianti Classico, Gallo nero, Vittorio FioreL’articolo prosegue su Civiltà del bere 5/2019. Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com
© Riproduzione riservata - 29/11/2019