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Alla Gorgona 10 anni dopo, dove il vino profuma di riscatto

Alla Gorgona 10 anni dopo, dove il vino profuma di riscatto

Sull’isola-penitenziario dell’arcipelago Toscano (che è “colonia penale agricola” dal 1869) abbiamo assaggiato l’ultima annata (2024) del bianco prodotto da Frescobaldi con la collaborazione dei detenuti. Il progetto è partito nel 2012 ed è stato confermato fino al 2049

Siamo stati alla Gorgona, isola-penitenziario con vigna, nel 2015 e vi torniamo quindi 10 anni dopo. I Frescobaldi avevano avviato il loro progetto con la vendemmia 2012 e da allora il vigneto è raddoppiato: da 1 a 2,3 ettari per un bianco da meno di 10 mila bottiglie e un rosso ancor più raro. Non è cambiato molto dal primo viaggio sull’isola, per fortuna. Significa che il progetto funziona e nel panorama carcerario nazionale non può essere che una ventata di freschezza, come quella del vento che tiene l’aria dell’isola sempre pulita e le vigne sane. La Gorgona è “colonia penale agricola” dal 1869.

Dove si impara un mestiere per essere liberi

Frescobaldi – come racconta il suo presidente Lamberto – è stata l’unica a rispondere all’appello, quando nel 2012, a ridosso della vendemmia, la direzione della colonia penale cercava un partner per l’iniziativa. Sono passati 13 anni di collaborazione e proprio in questi mesi è arrivata la conferma del rinnovo fino al 2049. È diventata dunque una cosa importante. Gorgona è l’unica isola-penitenziario in Europa, dove i detenuti trascorrono l’ultimo periodo di pena, lavorando a contatto con la natura per sviluppare professionalità che facilitino il reinserimento nella realtà lavorativa e sociale. Intorno a un piccolo vigneto, nel cuore di un anfiteatro da cui si domina il mare, prende vita il progetto il cui obiettivo è permettere ai detenuti di fare un’esperienza concreta e attiva nel campo della viticoltura, con la collaborazione e la supervisione degli agronomi ed enologi Frescobaldi.

La Gorgona Frescobaldi
Lamberto Frescobaldi con il direttore del carcere Giuseppe Renna

Un’isola di roccia alpina

Come nella visita precedente, abbiamo vissuto l’emozione molteplice di un luogo già di per sé stupendo, uno scoglio di origine alpina nel blu del Tirreno (“la perla di Afrodite più selvaggia e luminescente”, nelle parole di Andrea Bocelli che ha firmato l’etichetta del 2013) e detenuti che si avviano seriamente verso un riscatto, mentre imparano un lavoro e respirano aria pura di speranza. Grossomodo, contro una recidiva media dell’80%, per chi si impegna in iniziative del genere il rischio di riscivolare nelle pieghe della malavita crolla al 20%.

Dal cantiniere musulmano al vignaiolo africano

Si ascoltano storie bellissime, dal cantiniere musulmano (“così non poteva bere il vino, ed eravamo tutti più tranquilli”, dicono, anche se per regolamento i detenuti non possono farlo comunque) che da uomo libero si è ritrovato a praticare il mestiere in un’azienda vinicola dell’Alto Adige; all’africano Godday, che incontriamo mentre lavora in vigna e ci dice con la fronte imperlata sotto un sole a picco: «Sono orgoglioso di lavorare con i Frescobaldi, il mio sogno sarebbe di continuare, perché mi sono innamorato di questo mestiere». Frescobaldi assume quattro persone per volta, perché i detenuti che lavorano al progetto, ovviamente, devono essere remunerati e assunti regolarmente. Un centinaio di persone, quindi, hanno avuto sinora questa fortuna.

Sarebbe bello che fosse normalità

Al termine della visita, dopo aver ammirato le 10 mila piante per ettaro di Vermentino e Ansonica (per il bianco) e di Sangiovese e Vermentino nero (per il rosso), passeggiando tra rocce, pini e lentisco, torniamo al borgo, che si direbbe la sesta delle Cinque terre liguri più che un carcere, tra casette dai colori sgargianti e insenature rocciose dal mare turchino, e assaggiamo, in una sorta di rito collettivo (circa 200 persone, tra giornalisti, guardie, autorità) la nuova uscita della Gorgona bianco, annata 2024. Profuma di iodio, pompelmo, fiori di acacia, mela con una vena balsamica; in bocca è morbido, torna il ricordo del mare tra la cesta di agrumi e il finale di mela rossa.
Un vino buono, e non intendiamo minimizzare se diciamo “normale” nel suo essere unico: ma passare messaggi di normalità, dato il contesto, è di per sé un fatto davvero speciale che invoglia a riassaggiare e ristappare (come abbiamo fatto enne volte, quel giorno) perché storie del genere si ripetano e siano d’esempio luminoso come quei guizzi dorati nel calice, nel buio pesto delle attuali condizioni delle carceri italiane.

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