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Tazzelenghe: un autoctono dalla personalità strabordante

5 Febbraio 2019 Roger Sesto

Il Tazzelenghe è un vitigno autoctono della zona di Buttrio (Udine). Come ci racconta Alberto d’Attimis dell’azienda Conte d’Attimis Maniago, ancora oggi si tratta di un vitigno poco coltivato e poco visibile. Forse anche a causa del carattere schietto e “personale” dell’uva. In poche parole: piace o non piace.

Nonostante l’abbandono di numerose cultivar autoctone, «sorretti dall’aver intravisto le vere potenzialità enologiche del vitigno, la nostra azienda ha deciso di continuare a coltivare e vinificare questa preziosa uva fino a oggi». Così il conte Alberto d’Attimis Maniago di Buttrio spiega la scelta di produrre Tazzelenghe.

Un’uva da aspettare

«La sola certezza che abbiamo è che il Tazzelenghe va aspettato, non è qualitativamente costante. Anche quando l’annata è valida, schietto e personale com’è, può non piacere. Eppure è ricco di storia e di potenziale che la nostra Cantina ha saputo mettere in luce».  Fondamentale per la riuscita del suo Colli Orientali del Friuli Tazzelenghe Doc è il terroir di cui gode la tenuta: rilievi collinari non elevati, buone escursioni termiche e suoli ricchi di marne argillose e arenarie (ponca) dal basso contenuto di sostanze organiche, compensate da opportune concimazioni naturali.

Grappoli di Terrano

Il terroir perfetto del Tazzelenghe

La geologia dei terreni porta a un loro lento riscaldamento primaverile, determinando un germogliamento ritardato che evita possibili gelate. Il suolo poi trattiene il calore a beneficio dell’allungamento del ciclo vegetativo. Questo conduce a un’ottimale maturazione di un vitigno tardivo come il Tazzelenghe. Le uve appassiscono poi in fruttaio per 30-60 giorni. «Non ho mai smesso di produrre questo vino per evitare una concorrenza globale con la biodiversità che il nostro territorio può vantare. Scelta lungimirante, visto l’odierno ritorno all’autoctono».

Alberto D’Attimis Maniago

La versione contemporanea: meno dura, più elegante

Oggi il Tazzelenghe, grazie a innovative soluzioni vitienologiche, s’è fatto meno duro, più elegante e longevo. Nonostante ciò la sua personalità resta intonsa e perciò dirimente: o piace o non piace. «Siamo orgogliosi di aver contribuito al rilancio di questo vitigno, che oggi ci permette di ottenere vini godibili, anche grazie a un lungo affinamento in barrique e in vetro».

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L’articolo sui vitigni autoctoni friulani prosegue su Civiltà del bere 3/2018. Se sei un abbonato digitale, puoi leggere e scaricare la rivista effettuando il login. Altrimenti puoi abbonarti o acquistare la rivista su store.civiltadelbere.com (l’ultimo numero è anche in edicola). Per info: store@civiltadelbere.com

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